Botti
di fine anno
È
la tradizione. Indiscutibile. Irrinunciabile.
Sono
i botti di fine anno, cioè i fuochi d’artificio con i quali si allontana l’anno
vecchio o il tempo passato e insieme tutto quanto di brutto vogliamo spazzare
via. O almeno, si dice, per questo furono inventati i fuochi artificiali
parecchie centinaia di anni fa, probabilmente usati per la prima volta in Cina.
Per la verità a Torino il giorno dei fuochi è in giugno, la festa di San
Giovanni, quando la sera sul fiume si scatenano gli artificieri con botti, luci
di tutti i colori e scie luminose che si innalzano nel cielo. Non voglio
ergermi a paladino di uccelli e animali vari, a partire da cani e gatti che per
almeno un’ora fuggono terrorizzati in tutte le direzioni. Per non parlare di
quel piacevole profumo pungente che si incanala per le narici del naso e nei
polmoni anche a distanza. Trovo i fuochi artificiali sostanzialmente una
diseducativa cazzata spacciata per festa. Il centro della città lungo il fiume
viene per alcune ore paralizzato dalle auto e avvolto in una nuvola di fumi,
come se non bastassero quelli presenti negli altri giorni dell’anno. Con in
aggiunta il noto susseguirsi di scoppi assordanti. Diversamente dal giorno di
San Giovanni i botti di fine anno sono anche distribuiti per tutto il resto
della città. Casa per casa, terrazzo per terrazzo, strada per strada ognuno dà
il suo personale contributo alla cazzata. Qualcuno particolarmente patriottico
cede alla festa un occhio, qualche dito della mano, o anche peggio. Possibile
che non ci sia un altro modo di festeggiare?
Questo
poi è un fine d’anno speciale perché finisce anche il secolo e addirittura il
millennio; quindi si prevede una serata di fuochi speciali nei pressi della
Mole Antonelliana e una grande serata musicale, chiamata Millenium, con Gianna
Nannini in Piazza Vittorio. Grandi concerti anche nelle altre città: a Milano
arriva Zucchero, a Napoli il sindaco Bassolino ha chiamato Lucio Dalla e Nino
D’Angelo, a Palermo Orlando ha ingaggiato Jovanotti. Si prevede decine di
migliaia di persone in ogni piazza. In fin dei conti è arrivata l’ora X anche
se per la verità la fine del millennio matematicamente sarebbe fra dodici mesi.
Sembra che sia tutta colpa di quei seguaci di Gesù Cristo che quando
cominciarono a contare gli anni dalla sua presunta nascita cominciarono da uno
invece che da zero. Comunque, la cosa non è in discussione: il 31 dicembre 1999
finisce il millennio, anche se non è precisamente così.
Tutti
sembrano avere fretta di segnare la svolta: del passaggio dal numero uno al due
sul calendario, del superamento del secolo delle due guerre mondiali, del nuovo
secolo fuori dalla guerra fredda e da quella calda possibile e scampata fra USA
e URSS. Svolta il secolo del Comunismo fatto Stato. Adesso l’URSS non c’è più e
quindi possiamo stare tranquilli, almeno così dicono in tanti. La scadenza per
molti segna magari solo la speranza di una svolta nella propria vita, per
altri, quelli che hanno già una bella età, la soddisfazione di esserci arrivati
all’anno 2000.
Per
me l’ultimo dell’anno invece è il giorno, quest’anno un bel venerdì, in cui
puntualmente alle otto del mattino, massimo alle otto e un quarto, si inizia la
giornata con il telefono che squilla. “Ciao piccolo...! “ E’ naturalmente Marta
che, malgrado i suoi cinquant’anni incombenti e i suoi impegni giornalistici,
teatrali, istituzionali, dai quali per la verità mi sento sempre più lontano,
non ha perso l’abitudine di telefonarmi alle ore più strane, con la
giustificazione che più tardi io, non lei, sarei di certo indaffarato e
irraggiungibile. Siamo diventati molto diversi per percorsi e scelte, quasi
capovolgendo le nostre posizioni. Paradossalmente lei è diventata oggi una
moderata mentre io resto un radicale intransigente, ma è rimasto dal 1968
questo singolare legame mai definito fino in fondo. Secondo lei sono un uomo
raro e insostituibile, l’unico che a vent’anni si è addormentato al gelo in una
vecchia auto Renault 4 lungo un torrente nelle campagne francesi alle tre di
notte, dopo averla raggiunta in un paesino abbandonato della Francia,
abbarbicato al suo maglione di lana sotto un sacco a pelo e con le mani sulle
sue tette senza neppure provarci. E neppure l’ho abbandonata al suo destino per
un anno in un carcere popolato da irriducibili combattenti per il proletariato.
Praticamente sono trenta anni che mi coglie per prima all’alba di fine anno, mi
racconta velocemente le sue tumultuose novità, mi fa gli auguri, mi saluta e se
ne va.
Ormai
definitivamente sveglio decido di evitare altri possibili trilli telefonici e
sinceri auguri. Ho sentito ieri pomeriggio Valentina al telefono appena
arrivata in India e adesso è probabilmente per loro l’ora di pranzo. Così mi affretto ad uscire rapidamente di
casa per fare colazione in qualche bar. Il centro della città è abbondantemente
frequentato da nugoli di persone che si aggirano forse per gli ultimi regali o
per gli ultimi auguri del mattino a chi non avranno la possibilità di vedere
nel cenone della sera. Mi incammino verso il fiume e verso la collina per le
stradine secondarie un po’ meno popolate e solo all’ultimo mi rendo conto che
sono finito nella piccola piazza della mia chiesetta, dove mi rifugiavo a
vent’anni a leggere libri in tranquilla solitudine e dove nel 1968 ho
conosciuto suor Angela. Sento questo posto davvero un po’ mio ed è qui che mi
rifugio spesso ancora oggi. Da ormai trent’anni non ho più notizie di suor
Angela. Le suorine che con lei accudivano alla chiesetta e alle funzioni, due
anni dopo la sua partenza per l’America Latina nel famoso viaggio del Papa in
visita ai sacerdoti in rivolta, mi riferirono che molto probabilmente non
sarebbe più tornata.
Quando
il micio che suor Angela mi aveva lasciato in custodia morì tranquillo di
vecchiaia sul mio divano, non sapendo peraltro dove portarlo mi sembrò naturale
andare a chiedere alle suorine il permesso di seppellirlo in un angolo nascosto
fra le siepi del giardino che circonda la chiesetta. All’inizio mi guardarono
un po’ stupite ma una di loro testimoniò che in effetti si trattava del gatto a
cui accudiva suor Angela e così infine incredibilmente mi consentirono di
seppellirlo con discrezione in un angolo del giardino. Dopo parecchi anni,
almeno dieci, in uno dei miei periodici pellegrinaggi alla chiesetta mi accorsi
che il gruppo di suorine era cambiato o almeno era cambiata la loro divisa.
Quelle nuove, data la mia scarsa dimestichezza con le gerarchie e suddivisioni
del clero non avevo chiaro chi fossero, mi confermarono che erano di un altro
ordine ed alla mia richiesta di nuove notizie su suor Angela quella che
sembrava essere la più alta in grado e la più anziana, incuriosita per la mia
domanda, accertato chi fossi e la mia storia mi spiegò che dalle precarie
notizie ricevute suor Angela era da poco mancata all’improvviso in Colombia e
rispettando le sue precise volontà era stata tumulata in un piccolo paese
dell’interno dove operava da qualche anno.
Il
ricordo della sua scomparsa non mi ha certo favorito un miglioramento
dell’umore. Era già mesto per le preoccupazioni di cui Valentina mi ha reso
partecipe nella sua lettera a riguardo delle tensioni che incombono sulla
tranquilla convivenza nel loro villaggio.
Parecchio
intristito torno a casa per il pranzo, che preparo in ritardo e svogliatamente
perché non ho per niente fame, ed al momento di mangiare puntale squilla il
telefono. Metto da parte una parolaccia che userei per rispondere, non tanto
per l’interruzione del pranzo ma perché non sono proprio dell’umore giusto per
ricevere altri eventuali auguri di Buon Anno. Invece è Vincenzo, una delle
poche persone che, con la sua ordinaria e consueta concitazione nel raccontarti
le sue ultime avventurose attività musicali in giro per il mondo, riesce a
mettere di buon umore anche un depresso acuto. È nel nord della Francia e
proprio ieri malgrado l’inverno il suo gruppo ha avuto un clamoroso successo
con uno spettacolo all’aperto sulle larghe spiagge dalle parti di Deauville e
Trouville in Normandia. Vincenzo mi racconta che è stato un grande successo di
pubblico che ha seguito lo spettacolo in un mite tramonto di fine anno con il
cielo azzurro, una luce splendida del sole al tramonto e i gabbiani che
dall’alto garrendo e stridendo eccitati seguivano stupiti Lara che suonava al
violoncello una sua personale versione di piccoli brani dei Nocturnes per
pianoforte di Chopen. Sa solo lei come ci riesce. Il padre, naturalmente al suo
inseparabile pianoforte, attaccava le Gymnopedies di Erik Satie mentre la loro
stupenda ballerina in lontananza volteggiava su un pontile mentre sotto di lei
la marea faceva salire gradualmente il livello del mare, sorprendentemente
tranquillo malgrado la stagione. Non so se poi sono riusciti a recuperare la
ballerina. Lara, che è accanto a lui al telefono e in quanto a simpatica pazzia
promette bene come il padre, si unisce al racconto e aggiunge che non essendoci
muri da buttar giù per portarmene un frammento, raccoglieranno e chiuderanno in
una bottiglietta di vetro la sabbia di Honfleur, dove soggiornano, insieme a qualche
nota dello spettacolo e qualche garrito dei gabbiani della costa di Francia,
raccolti e mescolati insieme con una particolare magia artistica, per portarmi
un piccolo ricordo dal loro viaggio.
Il
couscous con una goccia di olio, un pezzetto di burro, una zucchina bollita a
pezzi e piccoli grani di formaggio parmigiano è una delizia che, fra quelle che
conosco, è quella che volentieri riesco a mangiare di gusto in questa giornata
un po’ smorta.
Continuo
a pensare a questi rigurgiti di nazionalismi, di odi tribali e religiosi
insieme tornati in campo, forse in realtà mai spenti per decenni ma quasi
dimenticati dalle nostre drammatizzazioni occidentali fra bipolarismo e guerra
fredda. Tensioni che proprio non mi aspettavo potessero tornare. So che in
India e in tante altre parti del mondo hanno sempre covato sotto la cenere e
anzi lì i semi dell’odio sono stati ben coltivati, a partire dalle tre guerre
indo-pakistane per il Kashmir. Neanche Valentina si aspettava negli anni
recenti il prevalere dei nazionalisti di destra al governo dell’intera India e
che l’onda lunga arrivasse anche alle porte di casa. Il comunismo diventato
Stato nell’est europeo, con le sue varianti asiatiche e in qualche altro paese
del pianeta in fin dei conti è durato meno di ottanta anni. Mia zia ha vissuto
quasi dieci anni di più. Con la dissoluzione di un muro pensavamo di svegliarci
dall’incubo della guerra fredda e avviarci verso un radioso pianeta pacificato.
Forse invece era solo un intermezzo che ci ha distratti. Un modo di vedere il pianeta
attraverso il binocolo ristretto del nostro piccolo mondo dell’Europa o al
massimo dell’Occidente. Anche le due guerre mondiali che si sono svolte in
questo secolo in realtà forse sono arrivate da un'altra parte, da altre
tensioni, da altri sciagurati protagonisti. La distruzione dell’ambiente che ci
circonda, la disuguaglianza sociale che sembra aumentare nell’intero pianeta,
la corruzione che permea lentamente e occupa tutti gli spazi vuoti. I germogli
avvelenati dell’odio verso il tuo vicino. Ci sono nell’intero pianeta e non
sembrano essere colorati di nessuna sfumatura particolare. Noi siamo solo al
centro di una palude. Se invece di guardare in alto e volare via ci voltiamo a
destra e a sinistra piano piano affondiamo e scivoliamo giù nella palude, con
il tempo che passa e ci cancella.
Decido
di chiamare al telefono Angelica anche se ci siamo visti poco più di un mese
fa. Malgrado abbia ormai superato i 40 anni ha sempre l’atteggiamento
affettuoso e riservato di quando faceva la studentessa del Politecnico. Quando
l’ho vista l’ultima volta mi ha accennato che aveva in programma di andare per
lavoro negli Stati Uniti e forse in Canada entro pochi giorni. Lei possiede un
piccolo ed efficiente telefono cellulare, comprato non so dove in giro per l’Europa,
da tenere nella borsetta o comunque a portata di mano. È quindi rintracciabile
a qualsiasi ora.
E
infatti mi risponde subito, felice di potermi salutare per fine anno e subito
pronta a raccontarmi di lei. Sapevo già
che il suo lavoro a Friburgo nel campo dei pannelli solari ed altri sistemi per
produrre energia in modo pulito si è sviluppato molto nel tempo e da quanto mi
ha raccontato occupa migliaia di persone in Germania ma si è molto meno espanso
nel resto dell’Europa e dell’Occidente. Malgrado i mercati aperti e la
cosiddetta globalizzazione, multinazionali del petrolio e altri soggetti
occupano il campo e frenano molto l’espansione delle nuove tecnologie. A fine
novembre Angelica è andata in California, dove l’interesse per i nuovi sistemi
tecnologici è più avanti e poi ha raggiunto Seattle attraverso l’Oregon per
partecipare alle manifestazioni di protesta che si sono svolte nei primi giorni
di dicembre contro la Conferenza del WTO, l’Organizzazione Internazionale del
Commercio. Il composito movimento che contesta la Conferenza critica
l’esclusivo interesse economico che primeggia nelle scelte dei grandi
protagonisti dell’economia mondiale. La critica principale del movimento è
rivolta verso le multinazionali: paesi storicamente già arretrati sono messi in
condizioni vergognose tramite pratiche quali lo sfruttamento minorile, la
distruzione del territorio, fino al favoreggiamento di guerre locali, comprese
quelle alimentate dal terrorismo. A volte vengono finanziate entrambe le parti,
distruggendo economicamente interi Paesi, mettendoli in ginocchio tramite
l’intervento di sistemi bancari offshore in grado di condizionare le scelte dei
singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale
ed energetico.
Angelica
argomenta con lucida semplicità le sue tesi e mi accenna di aver partecipato ai
contro-forum che si sono svolti in parallelo alla Conferenza di Seattle e che
hanno avuto una rilevante attenzione da parte dei media internazionali
presenti. Contro i cosiddetti no-global vi sono stati anche pesanti interventi
repressivi nei primi giorni della Conferenza quando migliaia di manifestanti ne
hanno di fatto ritardato l’avvio circondando l’intera area riservata per i
lavori ed impedendo alle delegazioni di raggiungere dagli alberghi la sede
dell’incontro. Secondo Angelica è difficile capire dove andrà a finire questo
movimento in realtà molto eterogeneo, frammentato e facilmente vulnerabile alle
forme di estremizzazione, come ad esempio quella dei cosiddetti black bloc, comparsi
anche a Seattle. Le loro azioni hanno come unico risultato, praticamente
scontato, quello di isolare e indebolire il movimento e rendere più facili
inevitabili forme di repressione. E’ una vecchia storia ma pochi sembrano
capaci di imparare la lezione. Tuttavia, a lato delle proteste e manifestazioni
ci sono stati anche momenti preziosi di dibattito in cui le esperienze più
all’avanguardia possono essere fatte conoscere ad una platea più allargata dei
soliti addetti ai lavori.
La
telefonata con Angelica mi fa bene all’umore perché lei è sempre rilassata,
riflessiva ma sorprendentemente lucida anche quando prende decisioni
all’istante. La sua presenza a Seattle, lei che non è certo una estremista ma
svolge un’attività concreta che guarda ad un futuro di alternativa, mi sembra
una scelta importante per quello che mi trasmette con prudenza e senza alcuna
esaltazione. Si può fare, si può essere nel posto giusto e al momento giusto
senza fare grande rumore. Viviamo in una fine del secolo dove invece pare che
la ragionevolezza vacilli.
Con
la fine della guerra fredda non c’è stata neanche per un attimo la fine delle
guerre, della violenza, della follia delle armi. Ci hanno un po’ presi in giro
con il bipolarismo fra est e ovest. Una settimana fa dopo una breve crisi è
nato il secondo governo D’Alema. Ma il periodo di 14 mesi del primo governo D’Alema
è stato amaro per l’Italia e per l’intera Europa. La fine dell’Unione Sovietica
non ha esaurito, anzi ha fatto esplodere tante crisi nel mondo. La ex
Jugoslavia, una Federazione che era costituita da sei diverse repubbliche,
sette lingue, quattro religioni, a quasi venti anni dalla scomparsa di Tito ha
visto nel 1999 l’ultimo atto di un decennio di massacri fra serbi, croati,
kossovari, albanesi, cristiani e musulmani. I bombardamenti in Serbia,
Montenegro e Kossovo con gli aerei della Nato, partiti da casa nostra, hanno
per un po’ risolto le cose con la nascita di un Protettorato Internazionale. I
dieci partiti al sostegno del secondo governo D’Alema e i dieci contro hanno in
realtà ben altre preoccupazioni. D’altronde a chi esattamente potremmo dare una
qualche ragione e a chi il torto principale? Chi esattamente nell’epoca di fine
millennio ha coltivato il germe andato a male del nazionalismo, dei mille
frammenti di culture e religioni che scoprono all’improvviso l’impossibilità
della convivenza? Una malattia che si diffonde nel mondo intero: in Europa come
in India.
All’inizio
degli anni ’70 Valentina decise di trasferirsi e vivere prevalentemente in
India. Non solo per una singolare forma di attrazione per il paese dove aveva
tentato di partecipare stabilmente a un gruppo di studio e meditazione e ad una
esperienza di vita alternativa poi esauritasi malamente. Lì in fin dei conti
era nata Hope e lei la aveva salvata strappandola alla morte in un vicolo buio.
Si era trasferita in India anche perché non c’era niente in Italia e in Europa
che la convincesse particolarmente a restare. In più occasioni mi aveva
espresso il suo scarso credito verso una possibile Europa pacifica che si
unisce in un’epoca nuova di pace e di libertà dopo l’esaurimento del
Bipolarismo e della Guerra Fredda. Valentina ha così in buona parte schivato
almeno dieci anni terribili e la stagione del terrorismo che in Italia ha avuto
peso e durata ben maggiore che in qualunque altro paese dell’Occidente. Che in
questo fine secolo e millennio tensioni sociali, forme deteriori di
nazionalismo, di tensioni etniche e crisi ambientali tendano ad aumentare di
importanza invece che a diminuire e arrivino in modo più virulento fino ad un
piccolo villaggio del nordovest dell’India è per lei fonte evidente di
delusione e preoccupazione, che ho percepito nell’ultima sua visita e poi compreso
in modo più evidente dalla sua lettera.
Proprio
oggi, nell’ultimo giorno dell’anno, è stato annunciato che in Russia il
Presidente della Federazione Russa Boris Eltsin si dimette dalla carica, di
fatto annunciando mentre lascia il posto, quasi la Russia fosse una Monarchia,
che il suo successore sarà Vladimir Putin. Quasi nessuno lo conosce e chi ha
qualche informazione sommaria ricorda solo che è stato per molti anni un
funzionario del servizio segreto sovietico, il KGB, lavorando parecchi anni a
Berlino presso la STASI, i servizi segreti della Germania dell’Est prima del
crollo. Saranno figure come queste che permetteranno il raggiungimento dei
recenti obiettivi dell’ONU per i primi dieci-quindici anni del Millennio sulla
Cultura di pace e gli Obiettivi di Sviluppo?
Decido
di passare il pomeriggio in casa e cerco in TV, inutilmente e disperatamente,
un film o un documentario o un concerto che mi affascinino ma non è prevista
questa possibilità. Non so perché ma puntualmente a fine anno in attesa del conteggio
finale di mezzanotte e dello spumante non è consentito vedere in Tv altro che
banalità, vecchi film di scarsa qualità o quando va bene, show desolanti e
ballerine sculettanti di qualche decennio fa tipo le sorelle Kessler, le due
gemelle degli anni ’60 sensuali come il bromuro.
Siamo
a metà pomeriggio e decido di godermi un bel film storico e magari impegnativo
ma gradevole. Metto da parte La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, che
sembra più un terribile documentario che un film e torno a cinquanta anni prima
con Lawrence d’Arabia. L’ho già visto più volte ma, sarà per Peter O’Toole,
sarà per la musica di Maurice Jarre, sarà per il fascino delle scene sulla
conquista di Aqaba, ma rivedo volentieri il film. Aqaba è forse un
insignificante cittadina sul Mar Rosso, dove però sono stato dopo un lungo
viaggio in macchina attraverso Turchia e Giordania provando una certa emozione,
perché in certi momenti del passato quest’area a ridosso di Israele è sembrata
il centro del mondo. Nel film la traversata del deserto del Nefud per attaccare
i turchi ad Aqaba alle spalle invece che dal mare, con la ovattata colonna
sonora che la accompagna si rivela letale e insuperabile, almeno per me, che
forse mi addormento o forse rivedo ad occhi chiusi le scene che ricordo a
memoria. Lawrence e i beduini assaltano i treni militari dell’Impero turco
lungo le sterminate vie ferrate fra le dune dei deserti dell’Arabia. Da un
archeologo e spia inglese e dalla provvisoria alleanza di alcune tribù arabe e
beduine come gli Howeytat con l’Emiro Faysal, discendente di Maometto, che fino
ad allora non si amavano particolarmente, sono nate l’Arabia Saudita e la
Giordania di oggi e si è allontanato almeno per un po’ l’Impero ottomano dal
Medio Oriente.
In
una specie di dormiveglia ad occhi chiusi sento un assordante rumore,
probabilmente è quello delle esplosioni della dinamite con cui Lawrence e i
beduini fanno saltare i binari ferroviari per far deragliare i treni di
vettovagliamento e di armi dell’esercito turco in viaggio lungo i deserti della
penisola araba conquistata dall’Impero Ottomano. Ma il rumore per la verità non
mi sembra esattamente quello. Socchiudo gli occhi nella penombra del salotto.
Armeggio al buio con il telecomando alla ricerca del mio amico Lawrence ma il
film è finito e mentre dormivo l’esercito ottomano è stato sconfitto, gli arabi
hanno conquistato Damasco, il primo dei quattro califfati nati dopo la morte di
Maometto, e in tutti i canali tv scoppiettano i tappi delle bottiglie di
spumante, mentre scie luminose e rumorose salgono nei cieli di mezzo mondo,
compresi quelli vicino casa mia. I bagliori dei lampi attraversano le tendine
delle mie finestre sotto i portici e mi sembra di partecipare ad una battaglia.
È arrivata l’ora X e siamo nel nuovo millennio. Steso sul divano mi tiro su la
coperta per scaldarmi un po’ di più, coprendomi occhi e orecchie sperando di
riprendere sonno.
Mah!
Se almeno la smettessero di giocare con i botti ...
*
Nel
marzo 1999, dopo tre anni di conflitti interni fra i diversi paesi ed etnie
della ex Jugoslavia hanno inizio i bombardamenti della Nato in Serbia,
Montenegro e Kosovo con l’obiettivo di porre fine alla repressione della
maggioranza albanese in Kosovo voluta dal presidente nazionalista serbo della
Jugoslavia Slobodan Milosevic. Le azioni di bombardamento durate due mesi,
partite dalle basi in Italia e approvate dal governo italiano (governo Dalema I
e II) hanno portato ad alcune migliaia di morti ed alla costituzione di un
Protettorato internazionale nell’area del Kosovo. Nei dieci anni di guerre
nella Jugoslavia disgregata, iniziate nel 1989, vi furono almeno
duecentocinquantamila morti.
Nell’agosto
1999 inizia la seconda guerra cecena, detta guerra del Caucaso settentrionale,
fra l’esercito della Federazione russa e i separatisti ceceni che nel 1994
avevano preso il controllo di gran parte della Cecenia con l’aiuto anche di
vari gruppi guerriglieri della Jihād islamica. Iniziata da Eltsin e continuata
da Putin la guerra è durata fino al 2009 con la sconfitta dei separatisti. Si
stima in almeno cinquantamila il numero dei morti, numerosi anche all’interno
della Russia.
Sempre
nel 1999 sono avvenuti colpi di stato in Niger (aprile) Guinea-Bissau (maggio),
Pakistan (ottobre) e Costa D’Avorio (dicembre) In maggio i bombardamenti
dell’Etiopia in Eritrea hanno provocato quarantamila morti.
Il
10 novembre 1998 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva proclamato il
primo decennio del XXI secolo e del III millennio, Decennio internazionale di
promozione di una cultura della nonviolenza e della pace a profitto dei bambini
del mondo. Il programma d'azione dell'ONU per il decennio ha poi proposto otto
campi d'azione nei quali è possibile lavorare per la promozione della cultura
della Pace: 1) Rinforzare una cultura di pace attraverso l'educazione. 2)
Promuovere lo sviluppo economico e sociale durevole. 3) Promuovere il rispetto
di tutti i diritti dell'uomo 4) Assicurare l'uguaglianza tra le donne e gli
uomini. 5) Favorire la partecipazione democratica. 6) Sviluppare la
comprensione, la tolleranza e la solidarietà. 7) Sostenere la comunicazione
partecipativa e la libera circolazione dell'informazione e delle conoscenze. 8)
Promuovere la pace e la sicurezza internazionali.
Il
13 settembre 1999 l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato la risoluzione
53/243 adottando con essa la Dichiarazione per una cultura della pace. Non ho
idea di quanti conoscano almeno per titoli questo programma dell’organismo,
unico esistente, che raccoglie praticamente tutti i paesi del pianeta. Il
concetto di cultura della pace era stato formulato al Congresso internazionale
sulla pace in Costa d'Avorio nel 1989. Questa iniziativa era nata in un
contesto internazionale influenzato dalla caduta del muro di Berlino e dalla
conseguente scomparsa delle tensioni legate alla guerra fredda, immaginando la
possibilità di aprire una nuova epoca di pace sul pianeta. Non sembra che sia
andata così.
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