Alle porte del nemico
“Che
fai per fine anno?”
Me
lo chiedono in parecchi in fabbrica fra i vecchi compagni di battaglie, qualche
amica anche un po’ troppo curiosa, qualche parente con cui mantengo anche da
lontano legami consolidati. In genere non so mai bene cosa rispondere. Sono
allergico alle feste comandate, cioè quelle decise dal calendario ed oggi è il
venerdì dell’ultima settimana dell’anno. Domani è Natale e a pranzo non farò
assolutamente nulla. Musica, letture e relax, è così che vorrei passare i
giorni di festa in un piovigginoso fine settimana invernale.
Valentina
con Speranza sarà a pranzo dai genitori, cocciuti ultrasettantenni separati che
solo Speranza riesce a riunire allo stesso tavolo. Con insistenza hanno invitato come sempre
anche me ma quest’anno non me la sono sentita. La sera avrò le due donne più
importanti della mia vita a cena tutte per me e fingerò di essere un cuoco
perfetto anche se so che non è vero.
A
metà della prossima settimana, subito dopo Natale, ripartiranno per l’India
attraverso un giro lungo che credo le farà passare da Londra e difficilmente le
rivedrò prima di maggio o giugno, quando i monsoni cominceranno a soffiare
sull’Oceano indiano con la solita immancabile valanga di piogge e di problemi
per gli indiani. Probabilmente prima arriverà Hope e un mese dopo Valentina,
fra la primavera e l’estate.
La
mia casa dopo la scomparsa di mia zia è raddoppiata, con le due entrate
separate al pianerottolo ma con una porta interna che è stata facilmente aperta
nel muro e che semplicemente in loro assenza richiudo. La tengo chiusa perché
così ridivide in due parti l’alloggio, e mi piace che riprenda vita con mia
grande soddisfazione solo con il loro arrivo. Devo badare ogni tanto a tenere
pulite le stanze arieggiando o scaldando un po’ a seconda del periodo
dell’anno. Valentina quando c’è ne occupa gli spazi solo in modo minuscolo,
qualche vestito e qualche libro. Di fatto l’altro pezzo di alloggio è diventato
il regno di Speranza che lo riempie di colori, quadri, piccoli soprammobili e
ricordini.
Quando
arriva la fine dell’anno cerco di svicolare per quanto riesco dagli impegni
prevedibili. Alla larga da feste, grandi pranzi e grandi cene, mi rintano da
qualche parte, in genere in casa, e tiro fuori il mio diario dell’anno dove ho
l’abitudine quasi tutti i giorni di scribacchiare qualcosa: cose fatte,
sensazioni, spese fuori dalla regola, viaggi, avvenimenti importanti qui in
Italia o nel mondo, numeri, statistiche, articoli e libri letti che mi hanno
particolarmente colpito. E poi foto, ritagli di giornali, mappe, mie note,
appunti, commenti sintetici, trascrizioni di brani particolari dalle più
diverse provenienze e dei più diversi argomenti. Non è che ci perda molto tempo
durante l’anno, non più di qualche minuto al giorno, ma alla fine la mia agenda
si gonfia e si deforma fino a diventare una specie di superpanino di McDonald
dove c’è dentro di tutto. In questa
ultima settimana mi sono preso il mio librone e me lo porto dietro prevedendo
di avere un po’ di tempo per sfogliarlo e completarlo per l’anno che scivola
via. Qualche foto e qualche ritaglio di giornale o di locandine colorate mi
ricordano con piacere il mio singolare viaggio a Mosca e la strana vicenda di
Teresa, comparsa nella mia vita come una meteora e sparita, senza che io avessi
avuto il coraggio di ricercarla per una singolare forma di timidezza di cui
spesso mi chiedo le ragioni. Mi resta la fastidiosa sensazione di aver smarrito senza ragione
una persona di qualità diventata ormai irraggiungibile.
Nei
miei ricordi e contatti con il mondo quest’anno però c’è una novità: si è
aperto in questi ultimi mesi uno strano dualismo in me fra il web e il resto
del tradizionale mondo reale. Parecchi
mesi fa è comparso un singolare programma sul web che si chiama Napster, che
sarebbe un programma di “file sharing” come mi ha scritto e spiegato Speranza
che dall’ India ha fatto la scoperta prima di me andando a trovare degli amici
in Germania. In pratica permette di trovare e scaricare gratuitamente migliaia
di pezzi musicali di tutti i generi, di tutte le epoche e, allo stesso tempo,
conoscere persone di ogni parte del mondo e chattare, cioè chiacchierare per
iscritto con loro. Nonostante si affermi che non è legale sta dilagando fra i
giovani e non solo loro. Subito dopo è arrivato Messenger, che sarebbe un
servizio di “messaggistica istantanea”, cioè scrivi il messaggio, lo mandi e
dopo un attimo è arrivato. Permette quindi di mandare e ricevere messaggi
facilmente e in grande quantità, anche questo gratuitamente. Già da due anni si
è diffuso Google, un motore di ricerca e utilizzo di dati, informazioni e
notizie che sembra non avere limiti. I due inventori, due studenti
dell’Università di Stanford, in California a poche decine di chilometri da San
Francisco, nel costituire la società riguardante il “motore di ricerca” si
erano ispirati probabilmente al termine googol coniato sessanta anni prima da
un matematico americano per indicare il numero con 1 davanti seguito da cento
zeri, cioè un numero enorme, per far riferimento alla grande quantità di dati
che il nuovo sistema mette a disposizione.
Mi
sento un po’ in difficoltà con queste novità ma, essendo di mestiere un
ricercatore da decenni, ho una curiosità irresistibile per questi enormi
contenitori di dati e informazioni e mi sono impegnato seriamente per imparare
ad usarli quotidianamente per quanto forse con i miei cinquantadue anni dovrei
sentirmi un po’ affannato con questo insieme di novità tecnologiche. Ho
ripensato a tutte queste novità una sera dopo cena andando al cinema con
Valentina e Hope, un avvenimento che avviene di rado. Lo strano film che
abbiamo visto è Matrix e sono rimasto quasi stupito che il più soddisfatto
all’uscita fosse il meno giovane dei tre cioè io.
In
verità molti aspetti del film non mi hanno entusiasmato. Si dice che il film
avrebbe rivoluzionato completamente la cinematografia, sia per gli effetti
speciali, sia per i contenuti proposti. Ho trovato una novità gli effetti
speciali che rendono palpabile la consistenza della rete come un luogo oscuro e
insidioso dal quale si può entrare o uscire attraverso il filo di un telefono
che squilla. Invece mi è sembrato eccessivo l’uso ripetuto delle arti marziali
nello scontro incalzante, senza soste, promosso dagli agenti delle macchine che
vogliono reprimere la ribellione rappresentata da Morpheus e Nemo che vogliono
uscire dal mondo illusorio creato dalle macchine e riconquistare la possibilità
di vedere il mondo reale. Resta inoltre il problema che il mondo reale è andato
in pezzi e non capisco quale sia l’obiettivo finale del film se non quello di
invitare a non avviarsi sulla strada che lascia campo libero alle macchine.
Certo, forse per la prima volta viene presentato in modo esplicito e violento
lo scontro in un ipotetico ma non impossibile futuro fra l’uomo e le macchine.
Queste hanno ribaltato il rapporto di dipendenza fino al punto che l’umanità
vive in un mondo di immagini fittizie che hanno sostituito e nascosto la realtà
ormai sotto il controllo delle macchine. Queste hanno bisogno degli uomini solo
come delle pile per trarre dal loro corpo l’energia per il prorio
funzionamento. Ma oggi siamo ancora in una fase storica dove lo sviluppo della
rete e del digitale ed il conseguente sviluppo dell’automazione sono vissuti,
per lo più e per la maggior parte delle persone, come strumenti di un
potenziale aumento della comunicazione fra gli individui nel tempo, nello
spazio, nella velocità di comunicazione e nella quantità di dati che si possono
far viaggiare. Di gran lunga un insieme di potenziali effetti vissuti da tutti
come positivi, anzi quasi entusiasmanti.
La cibernetica e i robot sono certamente il passo successivo.
Il
segreto che svela Morpheus a Nemo è difficile da comprendere e darvi credito
oggi: “... tu sei uno schiavo. Come tutti gli altri sei nato in catene, sei
nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore, una
prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado purtroppo di descrivere
Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos'è...”
La realtà è
che il film è oggi eccessivo, frutto di un eccesso di visone culturale che
potremmo malamente chiamare intellettualoide. Forse Matrix sarà un film più
facile da digerire fra alcuni decenni ed oggi le città distrutte, le fitte
coltri di nubi zeppe di veleni e inquinamento che per pochi attimi si
intravedono, vengono respinte solo come possibili realtà di un lontanissimo
futuro e relegate solo ad un divertente e singolare prodotto cinematografico di
fantascienza.
Valentina,
visto il film, non ha fatto una piega. Ha una scarsa fiducia e propensione per
l’uso delle macchine, tanto più quelle informatiche che usa al minimo e per
poche ed essenziali funzioni: scrivere, far di conto, comunicare rapidamente se
è proprio necessario. Ha trovato il film troppo violento, troppo assillante,
inutilmente ansiogeno, per certi versi monotono, ripetitivo e poco credibile.
Speranza ha subito sorvolato sul significato del film con una battuta su Nemo
(Keanu Reeves) troppo bello e su Trinity troppo fredda e troppo poco femminile.
In realtà Speranza è sempre perfettamente aggiornata su qualunque novità nel
mondo della comunicazione ed usa tutti gli strumenti che le permettono di
mettersi in contatto con le tante persone che conosce nelle più diverse parti
del pianeta sia per i suoi studi all’Università, sia per il lavoro della
cooperativa di cui cura l’export in diversi paesi dell’Occidente.
È
stato proprio dopo il film, tornando a casa dopo una bella passeggiata notturna
lungo il fiume, che Valentina mi ha dato una lettera chiusa, dicendo che
raccontava un po’ di cose della loro vita in India che però non voleva fossero
al centro di questo nostro incontro di fine anno e mi chiedeva quindi di
leggerla solo dopo la loro partenza per il viaggio di ritorno confermandomi che, prima di tornare al
villaggio, sarebbero passate per Londra e poi per Berlino. Lettera accompagnata
solo da una misteriosa battuta: “Ci sentiamo un po’ il nemico alle porte, anzi
ci sentiamo alle porte del nemico, ma leggi e rifletti con calma. Ne
riparleremo alla prossima nostra visita”.
Due
giorni dopo accompagno Valentina e Speranza all’aeroporto in partenza per
Londra. Ormai alle loro partenze mi sono abituato. Faccio di tutto per
mostrarmi tranquillo e rilassato, scherzando con loro mentre le aiuto a portare
zaini e valige multicolori piene di regalini di Natale. So che non le rivedrò
prima di cinque o sei mesi, verso la fine della primavera. Ciò che mi lascia
più in pena è la mancanza di notizie che patirò, a volte anche per molti
giorni, un po’ attutita negli ultimi anni dalla maggiore facilità di comunicare
via internet. Per quanto Valentina mi abbia rassicurato e Speranza proprio non
me ne abbia nemmeno parlato ho con me la lettera che apro appena sono sparite nell’area
partenze dell’aeroporto.
Caro
Matteo
In
accordo con Hope ho deciso di aggiornarti per iscritto su alcuni problemi che
non volevamo turbassero la gioia dei nostri giorni con te. Ci piace assaporare
con calma e tranquillità i nostri incontri di fine anno senza essere distratti
da piccole tensioni che non hanno comunque oggi una particolare gravità ma che
non possiamo nasconderti.
Come
sai la cooperativa di donne che ormai da anni abbiamo pian piano fatto nascere
e poi mantenuta con grande fatica ma anche soddisfazione e divertimento si è
molto ampliata e quasi siamo spaventate per l’impegno e le responsabilità che
con il tempo ci coinvolgono sempre di più. All’inizio si trattava di quattro o
cinque donne del villaggio, con le quali abbiamo iniziato a produrre piccoli
abiti, utensili, collane e monili vari, quasi per gioco. Dopo qualche tempo, la
presenza di parecchi bambini ci ha spinte ad organizzarci con un piccolo
doposcuola, che per alcune donne di casta più povera era in realtà l’unica
scuola che i loro figli avevano la possibilità di frequentare. Inizialmente
Hope, andando alla scuola inglese e poi all’Università, ci dava solo una mano.
Ma poi i frequenti viaggi di Hope a Berlino e Londra, la sua capacità di
muoversi con destrezza e la conoscenza delle lingue, la sua maggiore
responsabilità nella cooperativa, una volta terminata l’Università e iniziando
a curare l’export in vari paesi, ci hanno consentito di fare un salto di
qualità e di impegno.
Oggi
della cooperativa fanno parte almeno quindici donne, alcune ormai da molti
anni, altre giovanissime ed entusiaste per la possibilità di avere un piccolo
lavoro in un clima tranquillo e operoso. Produciamo di tutto in modo
volutamente artigianale e centinaia di manufatti con il piccolo logo della cooperativa
finiscono non solo in varie parti dell’India ma ormai anche in diversi negozi
di Londra, Parigi e Berlino. Le donne sono di diversa casta ed etnia. Per lo
più sono donne della nostra regione, il Maharashtra, quindi indiane di etnia
marathi o gujarati e di religione induista, ma fra le ultime ne abbiamo accolte
anche due di religione musulmana, due cristiane e una buddista, sulla base del
principio che la cooperativa non fa discriminazioni né di casta, né di etnia,
né di religione. In effetti la varietà di presenze non ha creato alcun problema
fra le donne anzi alcune differenze culturali hanno arricchito la cooperativa
ad esempio per la varietà del vestirsi e del mangiare. Questo a sua volta ha
arricchito anche la qualità e l’originalità dei prodotti che facciamo. Un po’
più complicata è diventata la gestione dei bambini che, stante anche la
prolifica attitudine del paese, sono diventati una cinquantina e non tutti
parlano lo stesso dialetto (in India ci sono una decina di lingue e duemila
dialetti). Abbiamo ottenuto una sorta di permesso dalla autorità del Distretto
per una specie di doposcuola nel quale si utilizza moderatamente l’inglese, che
peraltro nelle caste superiori è di fatto insegnato come una seconda lingua.
Così,
con dei turni settimanali, tutte le donne, che abbiano figli o no, compresa io
e Hope quando non è in giro per l’India o per il mondo, lavoriamo nella
produzione dei manufatti o nel piccolo negozio aperto nel villaggio da qualche
anno, ma anche nel doposcuola attrezzato accanto al locale di produzione e al
negozio. Confesso che siamo entusiaste di questa esperienza e lo sono tutte le
donne che ne fanno parte. Per il momento abbiamo deciso di non ampliare
ulteriormente la cooperativa e quindi limitare la quantità di quello che produciamo,
pur sapendo che non avremmo problemi di mercato. Così come siamo costrette a
limitare gli ingressi al doposcuola perché altre donne e bambini, anche non
appartenenti alla cooperativa, arriverebbero immediatamente. Nel villaggio
questa attività è stata sempre ben vista.
Se
la mia origine occidentale è evidente ma la mia presenza in India è ormai più
che decennale, l’aspetto di Hope la identifica istantaneamente come indiana
anche se a tutti la sua origine invece non è chiara. Parla perfettamente il maharati,
l’inglese, l’italiano e moderatamente il tedesco oltre a qualche parola di
arabo. Anche gli uomini del villaggio sembra abbiano ben accolto questo strano
esperimento e fino ad oggi la stessa amministrazione locale si è fatta quasi un
vanto della nostra attività. Tuttavia, alcune cose stanno cambiando in India
negli ultimi anni e in qualche modo, forse anche per la vicinanza di Mumbai e
Poone, arrivano gli echi di questi cambiamenti anche nel villaggio.
In
altre zone del mondo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di
Berlino e poi il crollo dell’Unione Sovietica ci hanno fatto pensare, o forse
ci hanno illuso, che con la fine del secolo arrivasse un po’ l’ora X di un
diverso possibile equilibrio e di una nuova convivenza fra i popoli del mondo.
Ma vedevamo solo il nostro mondo. Mi sembra che questa ora X al momento non sia
scattata e tensioni e guerre locali, con nuovi protagonisti e nuove ideologie
ma la stessa potenzialità nefasta, si stiano sostituendo al vecchio
bipolarismo. Come sai dal 1998 l’India è governata dai nazionalisti
conservatori del Bharatiya Janata Party, alleati con diversi partiti locali
anche di estrema destra. Nel Maharashtra proprio qualche mese fa le elezioni
dello Stato hanno visto un consistente risultato di Shiv Sena (Esercito di
Shiv). È un partito politico terrorista
di estrema destra chiamato Bandar Sena, i cui membri esistono da anni e sono
nazionalisti maharati. Per la prima volta hanno ottenuto 15 seggi. Sono ostili
a tutte le minoranze presenti nel paese, agli stranieri e a qualunque forma di
novità e di progresso. La loro nefasta influenza è arrivata anche nel nostro
distretto.
Io
sono tranquilla e abituata a sopportare e sopravvivere anche in situazioni
difficili ma Hope, nel suo girare in vari paesi dello Stato ha avuto qualche
scontro con questi personaggi. Lei è giovane, non tollera gli intolleranti e
reagisce apertamente senza paura a qualunque atteggiamento di ostilità. Non ha
digerito affatto l’arrivo dei Nazionalisti al governo dell’India e ancor meno
il successo di Bandar Sena nel Maharashtra, dove le tensioni fra i diversi
gruppi etnici si sono notevolmente accentuate. In più di un’occasione ha
espresso la sua insofferenza per dover vivere alle porte del nemico, cioè
“quelli di Poona e Mumbai “fino al punto di pensare che potremmo andarcene
dall’India fino a quando questi signori non vengono esclusi dal governo. Mi ha
parlato di Berlino dove sembra abbia ormai amicizie solide che non mi sono
ancora chiare per la verità. Al villaggio è tutto assolutamente tranquillo ma,
come vedi, a tutte le latitudini del mondo gli uomini non disdegnano mai di
mettersi nei guai.
Ho
riletto due volte la lettera prima di metterla via con crescente disagio e una
notevole preoccupazione. Davvero non c’è nessuna ora X e l’onda lunga delle
disuguaglianze e dell’intolleranza non sembra dimenticare nessuna parte del
pianeta.
*
Alla
fine del ventesimo secolo l’India, dopo aver conquistato l’indipendenza nel
1947 e aver subito la divisione del paese con la nascita del Pakistan
musulmano, era una Federazione di 35 Stati e Territori con circa un miliardo di
abitanti. Per quanto formalmente abolita nel 1950, in gran parte del paese la
divisione in caste, quattro principali e varie secondarie, permaneva sia nelle
grandi città che nelle campagne. Dopo le diverse guerre con il Pakistan,
principalmente per l’assetto del Kashmir, dopo l’assassinio di Indira Gandhi
nel 1984 e successivamente del figlio Rajiv Gandhi nel 1991, la costante
tensione sociale ed il crescente peso del nazionalismo di destra hanno portato
nel 1998 per la prima volta alla sconfitta del Partito del Congresso (INC) di
orientamento moderato e socialista fondato da Gandhi e Nehru. È salita al
governo una Alleanza del Partito popolare, di orientamento nazionalista conservatore
(BJP), unito con vari gruppi di destra presenti nei diversi Stati fra i quali
nel Maharastra, secondo Stato dell’India con circa cento milioni di abitanti,
il partito Bandar Sena di orientamento nazista e terrorista, ostile verso gli
stranieri e tutte le minoranze non indù presenti in India (musulmani,
cristiani, buddisti).
L’influenza di Shiv Sena nell’alleanza con i conservatori
del Bharatiya Janata Party (BJP) era tale che già nel 1995 era stato
ufficialmente cambiato il nome della capitale Bombay. Questo nome
riecheggerebbe una denominazione portoghese prima e inglese poi (Baia bella).
La nuova denominazione di Mumbai invece deriverebbe dal nome della dea indiana
Mumbadevi, alla quale è dedicato un importante tempio della città. Il nuovo
nome in realtà è indifferentemente usato come quello di Bombay da parte di
molti indù locali.
Nello
stesso anno 1998 del cambio di governo l’India diventava ufficialmente, in
contemporanea con il Pakistan, un paese dotato di armamenti nucleari.
Nessun commento:
Posta un commento