Tre mesi all’ora X - capitolo 8


 Rachael 

“Ciao Matteo, sei l’uomo della pensilina del bus. Ti ho visto l’ultima volta lì, allampanato, intento a salutarci mentre eravamo in partenza per l’aeroporto alcuni mesi fa e ti rivedo esattamente lì a riceverci mentre è cambiata la stagione dell’anno e i vestiti che indossi mi fanno ricordare che qui l’inverno esiste seriamente.” 



“In effetti non mi sono mosso da qui. Persone caritatevoli mi hanno fornito qualche indumento per l’inverno e ogni tanto qualcosa da mangiare ma per il resto sono rimasto qui alla fermata dell’autobus in attesa del vostro ritorno. Con il tempo ho messo radici, mi sono cresciute anche delle foglie sulle braccia ma con l’avanzare dell’inverno sono cadute”. 

Come sempre quando rivedo Valentina sono davvero contento ed è sempre un avvenimento il fatto che possa passare le ultime settimane dell’anno con lei e Speranza.
“Sono rimasto qui apposta, per porgerti un berretto ed una sciarpona di lana che come al solito non fanno parte del tuo bagaglio e tantomeno di quello della tua bambina che ti somiglia in questo come una goccia d’acqua “.

La “bambina” Hope, che compie oggi 32 anni, mi sorride con i suoi denti bianchissimi che scintillano come gemme sulla sua faccia di pelle scura e i capelli neri con due lunghe trecce, emergendo alle spalle di Valentina. Lei intanto mi mette le braccia al collo stringendomi forte e con gli occhi chiusi ed il suo inconfondibile profumo mi bisbiglia nell’orecchio: 
“Non so quante volte è già avvenuto e in che cosa mi sono reincarnata le altre volte, ma spero che il mio Karma mi destini a rinascere prima o poi nella forma di un’oca indiana, visto che riescono a sorvolare l’Himalaya al di sopra dei 6000 metri verso la Mongolia e a fare rapidamente questi lunghi percorsi senza pagare il biglietto a Lufthansa o Pan Am. Così potrei arrivare facilmente fino alle Alpi italiane e da te. Perché le oche ci riescano è un mezzo mistero. Alcuni affermano che sono animali così antichi che iniziarono a sorvolare le montagne quando erano molto più basse di oggi. Anch’io con il passare del tempo divento vecchia e quindi accumulo speranza.  Comunque, per rispetto della loro tenacia e per favorire il mio karma garantendomi il futuro desiderato da oca tratto benissimo le oche del nostro villaggio che corrispondono con grande affetto seguendomi per le strade del paese ovunque io vada.”  

Anche Hope si avvicina e mi abbraccia e come tutte le volte che la rivedo sono sorpreso nel vedere questa bambina che è ormai una donna, sempre sorridente, molto affettuosa con entrambi e pronta al gioco e allo scherzo come se fossimo una famigliola felice con due di noi che sono appena andati a fare un giro per la spesa e stanno tornando a casa.
“Confermo papa, mia madre è proprio ridicola quando passeggia per il villaggio con al seguito vari animali svolazzanti che sembrano la scorta personale di Lakshmi, la dolce dea della prosperità moglie di Vishnu. Tutti sorridono nel vedere la scena e qualcuno getta briciole di focaccia ma gli uccelli non si fanno distrarre, proseguendo dritti in colonna dietro di lei senza cambiare direzione. “
L’arrivo di Valentina mi rende davvero eccitato, agitato, emozionato. Insieme ad Hope riprendono possesso dell’appartamento di fronte al mio e tutta la casa sembra risvegliarsi come i fiorellini gialli delle primule e le foglioline verdi delle fragole nell’orto all’inizio della primavera. Rumori, odori, risatine, dolci nenie indianeggianti. Riecheggiano nelle stanze lo schiocco delle risate improvvise di Speranza mentre le due donne entrano ed escono dalla mia porta per chiedermi di questo o di quello. In genere si tratta di ritrovare qualcosa che loro hanno lasciato in giro per la casa cinque o sei mesi prima ed io ho rimesso al suo posto secondo i miei criteri di ordine che non coincidono affatto con il loro.

Come sempre ogni volta che ci rivediamo riparte un gioco che fin da quando era piccola faccio con Hope. Io le regalo un libro, un romanzo o una storia illustrata, un video da vedere, dei pezzi musicali nuovi o ripescati dal passato. E lei fa altrettanto preparandosi a lungo in India per stupirmi con le cose più strane: vestiti, servizi fotografici nei posti più sperduti, bracciali e collane che secondo lei mi starebbero benissimo, profumi e naturalmente musiche assolutamente bellissime e per me introvabili.
Valentina fa da arbitro e in fin dei conti questa gara le piace moltissimo anche perché è uno degli aspetti più profondi del rapporto fra me ed una figlia che vive da tanti anni in tutt’altra parte del mondo. 

Non si perde tempo e la sfida comincia subito, appena svuotate le valige. 
Io comincio con due pezzi musicali su una videocassetta in visione sulla TV di casa. Si tratta di Birds of Fire e Sanctuary della Mahavishnu Orchestra. Il gioco prevede anche di raccontare una piccola storia di presentazione e così faccio una breve storia di John McLaughlin e gli altri del suo gruppo che negli anni ’70 sperimentarono un originale jazz-rock con evidenti influenze della musica indiana portate dalla collaborazione con un guru che suggerì il nome del gruppo, che significa “Grande Vishnu”. Colpisco nel segno perché Speranza non conosce il gruppo e sembra gradisca la musica che le ho proposto. Lei ribatte con Ron Carter, un jazzista bassista e violoncellista nato negli anni ’60 alla scuola di Mile Davis ma io lo conosco da tempo e in particolare conosco bene Saguaro il pezzo che Hope deve avere trovato forse su Napster di cui è utente espertissima.  Quindi vinco io la prima sfida.  La seconda sfida sembra si basi su dei libri. Hope mi ha portato un bellissimo libro fotografico che illustra l’India dei villaggi, delle zone meno urbanizzate, dei fiumi, della natura più selvaggia e dei monsoni mostrando alcuni luoghi che ha visitato negli ultimi anni accompagnando Valentina nella sua attività della cooperativa di donne.  È un’ottima fotografa e mi mostra la stampa di alcuni paesaggi che ha ripreso lei direttamente. Il fotografo del libro non lo conosco ma l’idea che lei mi propone è che alcune pagine io le componga insieme a foto sue facendone un grande quadro da incorniciare al muro e occupando così mezza parete della loro camera più grande. Una bella idea alla quale do subito il mio assenso.

Il mio regalo invece è una inconsueta sorpresa. Nell’ultimo mio viaggio, passando dal Nepal dopo essere stato in India, a Katmandu mi sono trovato bloccato in un singolare alberghetto sulla via principale della città. In realtà è uno stretto cunicolo stradale in cui sono diffusi piccoli ristoranti, dove si mangia il momo, cioè grandi ravioli al vapore ripieni, si comprano piccoli zainetti bianchi con fasce multicolori che li rendono davvero graziosi e che riempiono tutti i negozietti per turisti. Sulla via si trovano anche sarti su misura pronti a farti un vestito di tela sul momento. Infine macellai e rivendite di spezie varie che sono affollati soprattutto per la presenza degli abitanti locali. Un improvviso temporale nella stagione dei monsoni in pochi minuti aveva trasformato rapidamente la strada in un tumultuoso torrente e come sempre gli abitanti ma anche  turisti come me siamo riparati nelle case rifugiandosi dove possibile ai piani superiori. Nel mio alberghetto la mia stanza per fortuna era al primo piano dove mi sono rifugiato di corsa in attesa della fine della pioggia. È lì che alla fine di una mattina di attesa ho conosciuto una donna indiana che silenziosa come un fantasma faceva le pulizie e riassettava le stanze degli ospiti che normalmente lasciano l’albergo per girovagare per le strade e visitare monumenti e   templi della città. Entrata nella stanza avvolta in un sari un po’ consunto ma splendidamente disegnato e colorato, dopo un primo momento di sorpresa questa donna dalla pelle scurissima ha iniziato a pulire e mettere in ordine in modo molto discreto ma allo stesso tempo incuriosita dalla mia presenza. Dopo aver balbettato qualche parola in inglese e scambiato qualche sorriso di convenienza era chiaro che nessuno dei due pensava di abbandonare la postazione mentre sui vetri esterni delle finestre si riversava una valanga d’acqua; così abbiamo deciso di fraternizzare. La donna è uscita per un momento tornando con due tazze di vetro colorato riempite di un tè profumato e caldo e con alcuni biscotti chiaramente artigianali. Entrambi eravamo davvero storditi, quasi ammaliati dalla incessante pioggia che si scaricava all’esterno della stanza. Intanto avevo acceso a basso volume una vecchia radio che trasmetteva musica locale per farmi un po’ di compagnia sotto l’uragano. Lei aveva portato un piccolo prisma d’incenso che aveva acceso e che propagava un lieve profumo nell’aria.

Siamo stati a lungo seduti sul divano a guardare le finestre lucide di pioggia. Infine, prima di lasciarmi, la donna ha tirato fuori da sotto il sari un libro con la copertina mezza stracciata e me lo ha lasciato in regalo prima di andarsene, accarezzandomi inaspettatamente le mani con un sorriso un po’ dolce e un po’ triste, forse consapevole che avrei girato posti e paesi nei quali lei non avrebbe mai potuto mettere piede. Si trattava di un racconto di viaggio in treno di Paul Therux dal titolò Bazar Express e descriveva trenta tappe di viaggio in treno partendo dal Londra-Parigi con un lungo percorso ferroviario fino a Tokyo, attraverso Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Indocina, e ritornando in Europa attraverso la Mongolia e l’Unione Sovietica.  Ho letto poi il libro, dopo averlo fatto rilegare con cura come fosse un testo raro, quasi viaggiando con l’autore che lo ha scritto mentre viaggiava sull’Orient Express, sul Mandalay Express, sulla Golden Arrow e sulla Transiberiana. Lo tengo sempre nella mia stanza sotto il mio sguardo come fosse una preziosa reliquia. Ho raccontato la storia del libro a cui tengo moltissimo a Hope prima di regalarglielo, raccomandando anche a Valentina, che ho notato molto attenta al mio racconto, che anche lei se ne prendesse sempre cura. Quasi fosse un magico scrigno pieno di antiche monete d’oro ho chiesto ad entrambe che lo curassero con attenzione senza mai perderlo di vista.

Il giorno dopo alle nove di sera entro nel grande tendone montato e riscaldato in un parco pubblico della città insieme a Valentina mentre Speranza si è recata a trovare delle amiche che ha frequentato fin da piccola nei suoi periodi vissuti qui in città. Sebbene siano sei mesi che non vedo Valentina, sfidando l’inverno che sta arrivando e approfittando del clima mite non ho resistito all’idea di portarla a vedere la versione estesa di Blade Runner. La proiezione invernale del film appare come un piccolo ma ben riuscito evento perché i posti a sedere si riempiono rapidamente di eroi della sera, incappucciati e pronti a sfidare gli eventuali spifferi di freddo nel tendone. Valentina non ha mai visto il film per quanto abbia già diciotto anni di storia. In generale non ama particolarmente la fantascienza per quanto questa negli ultimi quindici anni abbia davvero fatto passi avanti sorprendenti con il digitale e l’uso del computer. Le ho parlato così tanto e così ripetutamente di questo film che si è convinta a mettersi un lungo pellicciotto sintetico sulle sue lunghe gonne colorate per non gelare di freddo e poter venire così all’appuntamento temerario. 

Mi sono chiesto in varie occasioni perché mi affascina così tanto Blade Runner, che ho visto almeno una decina di volte in diverse versioni più o meno tagliate e modificate. Sul film ho letto decine di articoli e alcuni libri che raccontano le peripezie del film, dei suoi personaggi e degli attori che hanno interpretato e in qualche parte scritto e modificato di persona la trama e i dialoghi. Rick Deckar, il cacciatore di replicanti Nexus costruiti dalla Tyrel Corporation è un tristissimo Harrison Ford che nella sporchissima e inquinatissima Los Angeles dek futuro, datata al novembre 2019 si aggira costantemente in mezzo a nebbia, smog e insistente pioggerellina. Non sembra per nulla entusiasta del compito di “ritirare” i quattro Nexus 6 fuggiti dalle colonie extramondo e ritornati sulla terra clandestinamente su un trasporto commerciale. Harrison Ford è bravissimo nella parte, come lo sono Roy Batty e Pris, all’epoca i quasi sconosciuti attori Rutger Hauer e Daryl Hannah, nella parte di due dei replicanti fuggitivi.  Ma il vero miracolo che Ridley Scott e i suoi scenografi e truccatori hanno fatto è l’immagine davvero perfetta e nello stesso tempo molto femminile, romantica e trepidamente sensuale di Rachael, segretaria del proprietario della Tyrel Corporation, l’attrice Sean Young. 

“E’ troppo bella e così incredibilmente raffinata per essere vera. È una replicante anche lei? Ma così triste, così tesa... forse non lo sa? “Valentina mi sussurra all’orecchio la domanda dopo la comparsa di Rachael nell’ enorme studio del padrone della Tyrel e le prime battute del test antireplicanti di Deckar. La osservo stupito per un attimo in silenzio, senza rispondere, pensando a come Valentina sia sempre attenta ai particolari delle cose che afferra in profondità con velocità inconsueta. 
Per due ore seguiamo il film senza parlare. Nella seconda parte sento che Valentina segue con più intensità il film. I ricordi innestati su Rachael, suonare il pianoforte che non ha mai imparato, le foto di famiglia, una famiglia che lei in realtà non ha mai avuto. E la paura di non poter amare Deckar.  

Il tema del film è, o almeno a me sembra che sia il disperato desiderio di poter vivere ancora senza scadenza e di più quello inconfessato di diventare immortali. È questo che porta i quattro replicanti braccati a insinuarsi con un raggiro nella sede della Corporation che li ha prodotti e che, per sicurezza, ha limitato la loro possibilità di vita a soli quattro anni, che per loro stanno scadendo.  Non essendo possibile ottenere la modifica della scadenza Roy Batty uccide il presidente della Tyrell schiacciandone con le mani la testa e quel cervello che in fin dei conti lo ha generato. Ma poi nello scontro finale grazia Deckard che dopo un furibondo duello fra i due sta per morire. Un inno alla vita mentre il replicante si spegne ed è solo quella dell’umano che viene salvata.
Usciamo dalla sala al termine del film lentamente, in silenzio, con le immagini della terra vista un po’ dall’alto e i titoli di coda, immagini che si dice siano state recuperate da spezzoni scartati di Shining di Stanley Kubrick, che scivolano via con la musica del finale di Vangelis che sembra accompagnarci nella testa  nella strada di ritorno. Adesso fa decisamente freddo, con una leggera nebbiolina per tutto il percorso fino a casa nel buio di mezzanotte. Valentina mi segue nel mio appartamento dove le preparo una tisana per riprendere a scaldarci un po’. Mi scaldo infatti le mani sulla tazza bollente sdraiato sul mio grande divano mentre dai due finestroni ad arco si insinuano nella penombra della stanza le luci notturne di Piazza Castello. 

Valentina è seduta a terra ai piedi del divano ma quando ha finito di bere si alza e inizia a togliere questo groviglio di sciarpe, maglie di cotone pesante e vestiti di tela indiana di tanti colori che è il suo solito modo di vestirsi da anni. Malgrado i 50 anni passati i suoi capelli biondi, il corpo asciutto e completamente abbronzato dal sole indiano, il modo di muoversi e sorriderti tranquilla sembrano ancora quelli di una giovane donna che portavo con me alle feste musicali sul fiume a vent’anni. 
  
“Non è solo un inno alla vita e forse il desiderio dell’immortalità aggrappati ad una voglia di vivere mentre il tempo invece sta scadendo inesorabile. Certo questo sembra essere il messaggio del replicante che si sta spegnendo ma salva Deckar che sta precipitando nel vuoto. Come anche l’angoscia di Rachael che osservando le foto di famiglia sopra il pianoforte di Deckar sospetta che i ricordi della sua infanzia siano solo innesti di memoria ...”
Valentina osserva per un attimo dalla finestra la città che si sta addormentando. Poi sale sul divano e si arrampica su di me mentre mi afferra entrambe le mani nelle sue e le stringe forte. Sento l’inconfondibile odore di patchouli e quello particolare del suo corpo che mi sovrasta.  

“Il messaggio che mi insinua nella testa il film va un po’ più in là ed è la possibilità di praticare un amore impossibile in apparenza fra lei replicante, che però forse non ha scadenza e può provarci, e il cacciatore che dovrebbe eliminarla e invece se ne innamora follemente decidendo che non c’è niente che non si possa superare, non c’è nessuna barriera che non si può almeno provare a scavalcare. In realtà si tratta di un coraggioso tentativo di amare qualcuno al di là delle consuete convenzioni “
Mentre mi parla Valentina sopra di me stringe le gambe attorno ai miei fianchi, si china prendendomi la testa fra le mani e regalandomi piccoli baci sul viso. 

“Non c’è distanza, né età, né consuetudini, né etnie diverse che possano impedire davvero la possibilità di unirsi e provare ad amarsi in profondità, senza riserve. In fin dei conti da 30 anni, con migliaia di chilometri che ci separano, ci abbiamo provato e forse ci siamo un po’ riusciti. Perché io sono qui e sono contenta di esserci come mai avrei potuto immaginare “. 
*
Blade Runner è un film di fantascienza del 1982 diretto da Ridley Scott, con la sceneggiatura scritta da Hampton Fancher e David Webb Peoples e liberamente ispirata al romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick. Il film è ambientato nella Los Angeles del 2019, presentata come una delle megalopoli sopravvissute al definitivo degrado e dilagante inquinamento del pianeta dal quale tutti coloro che ne hanno avuto la possibilità sono migrati. Si sono spostati nei diversi pianeti scoperti e raggiunti, le colonie extramondo dove molte attività sono state affidate a replicanti nella versione più aggiornata Nexus 6. Sono modelli del tutto indistinguibili dagli umani, se non attraverso il test della macchina di Voigt-Kampff che li riconosce dalle reazioni della retina degli occhi quando si provoca delle emozioni attraverso particolari domande. Ormai più abili, più intelligenti e resistenti degli umani i Nexus 6 vengono utilizzati come forza lavoro nelle colonie extra-terrestri, dai gruppi di combattimento alle attività domestiche o per l’intrattenimento sessuale delle truppe e naturalmente nelle attività lavorative più difficili e rischiose. Per contenerne e controllarne l’azione sono geneticamente costruiti per vivere solo quattro anni. Nei casi di ribellione un corpo di agenti speciali di repressione, i Blade Runner, intervengono per “ritirarli” cioè per procedere alla loro eliminazione. 

Nell’ambientazione distopica del film, che si svolge per la gran parte di notte o comunque in una Los Angeles immersa in una cappa scura di smog e in una permanente pioggerellina inquinata e soffocante, la popolazione residua della megalopoli è composta in gran parte da derelitti devastati dall’ambiente invivibile o in visita dalle colonie, che affollano il centro della città. I quartieri centrali più popolosi hanno l’aspetto di un grande mercato popolare asiatico, frequentato da venditori di tutti i tipi, compresi bioingegneri che producono parti e organi per costruire bioautomi di seconda scelta o commercianti di animali finti perché sulla Terra è difficile reperire animali veri. Soltanto nell’ultimo minuto del lungo film, nella scena finale dove Deckard e Rachel fuggono dalla città, si intravede dall’alto un paesaggio naturale alla luce del sole, con prati assolati, boschi e montagne; in realtà messo nel film recuperando spezzoni scartati dal film Shining di Stanley Kubrick del 1980. 

È singolare che della meravigliosa colonna sonora del film in gran parte opera del musicista greco Vangelis per anni sia circolata una versione di fatto inattendibile e scadente della New American Orchestra che non c’entra praticamente nulla con il film né con Vangelis. A parte alcuni spezzoni del 1989 soltanto dodici anni dopo, nel 1994 Vangelis, che evidentemente aveva avuto seri problemi con il regista nella post-produzione, ha prodotto una versione completa e ufficiale della colonna sonora.   

Del film esistono diverse versioni, da quella principale (Director’s Cut) dove tutti i dettagli di ogni scena sono stati elaborati e curati con metodica attenzione, alla cosiddetta “copia lavoro” e ad un enorme mole di spezzoni, scene e dialoghi non utilizzati. Il film, dal rilevante costo di venti milioni di dollari per più di due anni di lavorazione, ha avuto inizialmente alla sua uscita un mediocre giudizio della critica. In modo inaspettato il suo successo è man mano esploso nei dieci anni successivi, accompagnato da un enorme numero di recensioni, valutazioni analitiche, saggi accademici e libri. Fra questi ultimi in italiano il più completo è il testo di Paul M. Sammon, un volume di 280 pagine in formato largo, in cui tutta la storia del film, degli autori, degli attori, della scenografia, dei testi di dialogo, delle scene e parti non utilizzate nella versione originaria, sono raccolti e raccontati fin nei più minuti particolari. Dopo “2001 Odissea nello spazio” (Stanley Kubrick, 1968) e seguito da “Dune “(David Lynch, 1984) Blade Runner può essere considerato il primo e forse il più complesso e riuscito film di fantascienza del XX° secolo. Nel 1993 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America.

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