Rachael
“Ciao
Matteo, sei l’uomo della pensilina del bus. Ti ho visto l’ultima volta lì,
allampanato, intento a salutarci mentre eravamo in partenza per l’aeroporto
alcuni mesi fa e ti rivedo esattamente lì a riceverci mentre è cambiata la
stagione dell’anno e i vestiti che indossi mi fanno ricordare che qui l’inverno
esiste seriamente.”
“In
effetti non mi sono mosso da qui. Persone caritatevoli mi hanno fornito qualche
indumento per l’inverno e ogni tanto qualcosa da mangiare ma per il resto sono
rimasto qui alla fermata dell’autobus in attesa del vostro ritorno. Con il
tempo ho messo radici, mi sono cresciute anche delle foglie sulle braccia ma
con l’avanzare dell’inverno sono cadute”.
Come
sempre quando rivedo Valentina sono davvero contento ed è sempre un avvenimento
il fatto che possa passare le ultime settimane dell’anno con lei e Speranza.
“Sono
rimasto qui apposta, per porgerti un berretto ed una sciarpona di lana che come
al solito non fanno parte del tuo bagaglio e tantomeno di quello della tua
bambina che ti somiglia in questo come una goccia d’acqua “.
La
“bambina” Hope, che compie oggi 32 anni, mi sorride con i suoi denti
bianchissimi che scintillano come gemme sulla sua faccia di pelle scura e i
capelli neri con due lunghe trecce, emergendo alle spalle di Valentina. Lei
intanto mi mette le braccia al collo stringendomi forte e con gli occhi chiusi
ed il suo inconfondibile profumo mi bisbiglia nell’orecchio:
“Non so quante
volte è già avvenuto e in che cosa mi sono reincarnata le altre volte, ma spero
che il mio Karma mi destini a rinascere prima o poi nella forma di un’oca
indiana, visto che riescono a sorvolare l’Himalaya al di sopra dei 6000 metri
verso la Mongolia e a fare rapidamente questi lunghi percorsi senza pagare il
biglietto a Lufthansa o Pan Am. Così potrei arrivare facilmente fino alle Alpi
italiane e da te. Perché le oche ci riescano è un mezzo mistero. Alcuni
affermano che sono animali così antichi che iniziarono a sorvolare le montagne
quando erano molto più basse di oggi. Anch’io con il passare del tempo divento
vecchia e quindi accumulo speranza.
Comunque, per rispetto della loro tenacia e per favorire il mio karma
garantendomi il futuro desiderato da oca tratto benissimo le oche del nostro
villaggio che corrispondono con grande affetto seguendomi per le strade del
paese ovunque io vada.”
Anche
Hope si avvicina e mi abbraccia e come tutte le volte che la rivedo sono
sorpreso nel vedere questa bambina che è ormai una donna, sempre sorridente,
molto affettuosa con entrambi e pronta al gioco e allo scherzo come se fossimo
una famigliola felice con due di noi che sono appena andati a fare un giro per
la spesa e stanno tornando a casa.
“Confermo
papa, mia madre è proprio ridicola quando passeggia per il villaggio con al
seguito vari animali svolazzanti che sembrano la scorta personale di Lakshmi,
la dolce dea della prosperità moglie di Vishnu. Tutti sorridono nel vedere la
scena e qualcuno getta briciole di focaccia ma gli uccelli non si fanno
distrarre, proseguendo dritti in colonna dietro di lei senza cambiare
direzione. “
L’arrivo
di Valentina mi rende davvero eccitato, agitato, emozionato. Insieme ad Hope
riprendono possesso dell’appartamento di fronte al mio e tutta la casa sembra
risvegliarsi come i fiorellini gialli delle primule e le foglioline verdi delle
fragole nell’orto all’inizio della primavera. Rumori, odori, risatine, dolci
nenie indianeggianti. Riecheggiano nelle stanze lo schiocco delle risate
improvvise di Speranza mentre le due donne entrano ed escono dalla mia porta
per chiedermi di questo o di quello. In genere si tratta di ritrovare qualcosa
che loro hanno lasciato in giro per la casa cinque o sei mesi prima ed io ho
rimesso al suo posto secondo i miei criteri di ordine che non coincidono
affatto con il loro.
Come
sempre ogni volta che ci rivediamo riparte un gioco che fin da quando era
piccola faccio con Hope. Io le regalo un libro, un romanzo o una storia
illustrata, un video da vedere, dei pezzi musicali nuovi o ripescati dal
passato. E lei fa altrettanto preparandosi a lungo in India per stupirmi con le
cose più strane: vestiti, servizi fotografici nei posti più sperduti, bracciali
e collane che secondo lei mi starebbero benissimo, profumi e naturalmente
musiche assolutamente bellissime e per me introvabili.
Valentina
fa da arbitro e in fin dei conti questa gara le piace moltissimo anche perché è
uno degli aspetti più profondi del rapporto fra me ed una figlia che vive da
tanti anni in tutt’altra parte del mondo.
Non
si perde tempo e la sfida comincia subito, appena svuotate le valige.
Io
comincio con due pezzi musicali su una videocassetta in visione sulla TV di
casa. Si tratta di Birds of Fire e Sanctuary della Mahavishnu
Orchestra. Il gioco prevede anche di raccontare una piccola storia di
presentazione e così faccio una breve storia di John McLaughlin e gli altri del
suo gruppo che negli anni ’70 sperimentarono un originale jazz-rock con
evidenti influenze della musica indiana portate dalla collaborazione con un
guru che suggerì il nome del gruppo, che significa “Grande Vishnu”. Colpisco
nel segno perché Speranza non conosce il gruppo e sembra gradisca la musica che
le ho proposto. Lei ribatte con Ron Carter, un jazzista bassista e
violoncellista nato negli anni ’60 alla scuola di Mile Davis ma io lo conosco
da tempo e in particolare conosco bene Saguaro il pezzo che Hope deve
avere trovato forse su Napster di cui è utente espertissima. Quindi vinco io la prima sfida. La seconda sfida sembra si basi su dei libri.
Hope mi ha portato un bellissimo libro fotografico che illustra l’India dei
villaggi, delle zone meno urbanizzate, dei fiumi, della natura più selvaggia e
dei monsoni mostrando alcuni luoghi che ha visitato negli ultimi anni
accompagnando Valentina nella sua attività della cooperativa di donne. È un’ottima fotografa e mi mostra la stampa
di alcuni paesaggi che ha ripreso lei direttamente. Il fotografo del libro non
lo conosco ma l’idea che lei mi propone è che alcune pagine io le componga
insieme a foto sue facendone un grande quadro da incorniciare al muro e
occupando così mezza parete della loro camera più grande. Una bella idea alla
quale do subito il mio assenso.
Il
mio regalo invece è una inconsueta sorpresa. Nell’ultimo mio viaggio, passando
dal Nepal dopo essere stato in India, a Katmandu mi sono trovato bloccato in un
singolare alberghetto sulla via principale della città. In realtà è uno stretto
cunicolo stradale in cui sono diffusi piccoli ristoranti, dove si mangia il momo,
cioè grandi ravioli al vapore ripieni, si comprano piccoli zainetti bianchi con
fasce multicolori che li rendono davvero graziosi e che riempiono tutti i
negozietti per turisti. Sulla via si trovano anche sarti su misura pronti a
farti un vestito di tela sul momento. Infine macellai e rivendite di spezie
varie che sono affollati soprattutto per la presenza degli abitanti locali. Un
improvviso temporale nella stagione dei monsoni in pochi minuti aveva
trasformato rapidamente la strada in un tumultuoso torrente e come sempre gli abitanti
ma anche turisti come me siamo riparati
nelle case rifugiandosi dove possibile ai piani superiori. Nel mio alberghetto
la mia stanza per fortuna era al primo piano dove mi sono rifugiato di corsa in
attesa della fine della pioggia. È lì che alla fine di una mattina di attesa ho
conosciuto una donna indiana che silenziosa come un fantasma faceva le pulizie
e riassettava le stanze degli ospiti che normalmente lasciano l’albergo per
girovagare per le strade e visitare monumenti e templi della città. Entrata nella stanza
avvolta in un sari un po’ consunto ma splendidamente disegnato e colorato, dopo
un primo momento di sorpresa questa donna dalla pelle scurissima ha iniziato a pulire
e mettere in ordine in modo molto discreto ma allo stesso tempo incuriosita
dalla mia presenza. Dopo aver balbettato qualche parola in inglese e scambiato
qualche sorriso di convenienza era chiaro che nessuno dei due pensava di
abbandonare la postazione mentre sui vetri esterni delle finestre si riversava
una valanga d’acqua; così abbiamo deciso di fraternizzare. La donna è uscita
per un momento tornando con due tazze di vetro colorato riempite di un tè
profumato e caldo e con alcuni biscotti chiaramente artigianali. Entrambi
eravamo davvero storditi, quasi ammaliati dalla incessante pioggia che si
scaricava all’esterno della stanza. Intanto avevo acceso a basso volume una
vecchia radio che trasmetteva musica locale per farmi un po’ di compagnia sotto
l’uragano. Lei aveva portato un piccolo prisma d’incenso che aveva acceso e che
propagava un lieve profumo nell’aria.
Siamo
stati a lungo seduti sul divano a guardare le finestre lucide di pioggia.
Infine, prima di lasciarmi, la donna ha tirato fuori da sotto il sari un libro
con la copertina mezza stracciata e me lo ha lasciato in regalo prima di
andarsene, accarezzandomi inaspettatamente le mani con un sorriso un po’ dolce
e un po’ triste, forse consapevole che avrei girato posti e paesi nei quali lei
non avrebbe mai potuto mettere piede. Si trattava di un racconto di viaggio in
treno di Paul Therux dal titolò Bazar Express e descriveva trenta tappe di
viaggio in treno partendo dal Londra-Parigi con un lungo percorso ferroviario
fino a Tokyo, attraverso Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Indocina,
e ritornando in Europa attraverso la Mongolia e l’Unione Sovietica. Ho letto poi il libro, dopo averlo fatto
rilegare con cura come fosse un testo raro, quasi viaggiando con l’autore che
lo ha scritto mentre viaggiava sull’Orient Express, sul Mandalay Express, sulla
Golden Arrow e sulla Transiberiana. Lo tengo sempre nella mia stanza sotto il
mio sguardo come fosse una preziosa reliquia. Ho raccontato la storia del libro
a cui tengo moltissimo a Hope prima di regalarglielo, raccomandando anche a
Valentina, che ho notato molto attenta al mio racconto, che anche lei se ne
prendesse sempre cura. Quasi fosse un magico scrigno pieno di antiche monete
d’oro ho chiesto ad entrambe che lo curassero con attenzione senza mai perderlo
di vista.
Il
giorno dopo alle nove di sera entro nel grande tendone montato e riscaldato in
un parco pubblico della città insieme a Valentina mentre Speranza si è recata a
trovare delle amiche che ha frequentato fin da piccola nei suoi periodi vissuti
qui in città. Sebbene siano sei mesi che non vedo Valentina, sfidando l’inverno
che sta arrivando e approfittando del clima mite non ho resistito all’idea di
portarla a vedere la versione estesa di Blade Runner. La proiezione invernale
del film appare come un piccolo ma ben riuscito evento perché i posti a sedere
si riempiono rapidamente di eroi della sera, incappucciati e pronti a sfidare
gli eventuali spifferi di freddo nel tendone. Valentina non ha mai visto il
film per quanto abbia già diciotto anni di storia. In generale non ama
particolarmente la fantascienza per quanto questa negli ultimi quindici anni
abbia davvero fatto passi avanti sorprendenti con il digitale e l’uso del
computer. Le ho parlato così tanto e così ripetutamente di questo film che si è
convinta a mettersi un lungo pellicciotto sintetico sulle sue lunghe gonne
colorate per non gelare di freddo e poter venire così all’appuntamento
temerario.
Mi
sono chiesto in varie occasioni perché mi affascina così tanto Blade Runner,
che ho visto almeno una decina di volte in diverse versioni più o meno tagliate
e modificate. Sul film ho letto decine di articoli e alcuni libri che
raccontano le peripezie del film, dei suoi personaggi e degli attori che hanno
interpretato e in qualche parte scritto e modificato di persona la trama e i
dialoghi. Rick Deckar, il cacciatore di replicanti Nexus costruiti dalla Tyrel
Corporation è un tristissimo Harrison Ford che nella sporchissima e
inquinatissima Los Angeles dek futuro, datata al novembre 2019 si aggira
costantemente in mezzo a nebbia, smog e insistente pioggerellina. Non sembra
per nulla entusiasta del compito di “ritirare” i quattro Nexus 6 fuggiti dalle
colonie extramondo e ritornati sulla terra clandestinamente su un trasporto
commerciale. Harrison Ford è bravissimo nella parte, come lo sono Roy Batty e
Pris, all’epoca i quasi sconosciuti attori Rutger Hauer e Daryl Hannah, nella
parte di due dei replicanti fuggitivi.
Ma il vero miracolo che Ridley Scott e i suoi scenografi e truccatori
hanno fatto è l’immagine davvero perfetta e nello stesso tempo molto femminile,
romantica e trepidamente sensuale di Rachael, segretaria del proprietario della
Tyrel Corporation, l’attrice Sean Young.
“E’
troppo bella e così incredibilmente raffinata per essere vera. È una replicante
anche lei? Ma così triste, così tesa... forse non lo sa? “Valentina mi sussurra
all’orecchio la domanda dopo la comparsa di Rachael nell’ enorme studio del
padrone della Tyrel e le prime battute del test antireplicanti di Deckar. La
osservo stupito per un attimo in silenzio, senza rispondere, pensando a come
Valentina sia sempre attenta ai particolari delle cose che afferra in
profondità con velocità inconsueta.
Per
due ore seguiamo il film senza parlare. Nella seconda parte sento che Valentina
segue con più intensità il film. I ricordi innestati su Rachael, suonare il
pianoforte che non ha mai imparato, le foto di famiglia, una famiglia che lei
in realtà non ha mai avuto. E la paura di non poter amare Deckar.
Il
tema del film è, o almeno a me sembra che sia il disperato desiderio di poter
vivere ancora senza scadenza e di più quello inconfessato di diventare
immortali. È questo che porta i quattro replicanti braccati a insinuarsi con un
raggiro nella sede della Corporation che li ha prodotti e che, per sicurezza,
ha limitato la loro possibilità di vita a soli quattro anni, che per loro
stanno scadendo. Non essendo possibile
ottenere la modifica della scadenza Roy Batty uccide il presidente della Tyrell
schiacciandone con le mani la testa e quel cervello che in fin dei conti lo ha
generato. Ma poi nello scontro finale grazia Deckard che dopo un furibondo
duello fra i due sta per morire. Un inno alla vita mentre il replicante si
spegne ed è solo quella dell’umano che viene salvata.
Usciamo
dalla sala al termine del film lentamente, in silenzio, con le immagini della
terra vista un po’ dall’alto e i titoli di coda, immagini che si dice siano
state recuperate da spezzoni scartati di Shining di Stanley Kubrick, che
scivolano via con la musica del finale di Vangelis che sembra accompagnarci
nella testa nella strada di ritorno.
Adesso fa decisamente freddo, con una leggera nebbiolina per tutto il percorso
fino a casa nel buio di mezzanotte. Valentina mi segue nel mio appartamento
dove le preparo una tisana per riprendere a scaldarci un po’. Mi scaldo infatti
le mani sulla tazza bollente sdraiato sul mio grande divano mentre dai due
finestroni ad arco si insinuano nella penombra della stanza le luci notturne di
Piazza Castello.
Valentina
è seduta a terra ai piedi del divano ma quando ha finito di bere si alza e
inizia a togliere questo groviglio di sciarpe, maglie di cotone pesante e
vestiti di tela indiana di tanti colori che è il suo solito modo di vestirsi da
anni. Malgrado i 50 anni passati i suoi capelli biondi, il corpo asciutto e
completamente abbronzato dal sole indiano, il modo di muoversi e sorriderti
tranquilla sembrano ancora quelli di una giovane donna che portavo con me alle
feste musicali sul fiume a vent’anni.
“Non
è solo un inno alla vita e forse il desiderio dell’immortalità aggrappati ad
una voglia di vivere mentre il tempo invece sta scadendo inesorabile. Certo
questo sembra essere il messaggio del replicante che si sta spegnendo ma salva
Deckar che sta precipitando nel vuoto. Come anche l’angoscia di Rachael che
osservando le foto di famiglia sopra il pianoforte di Deckar sospetta che i ricordi
della sua infanzia siano solo innesti di memoria ...”
Valentina
osserva per un attimo dalla finestra la città che si sta addormentando. Poi
sale sul divano e si arrampica su di me mentre mi afferra entrambe le mani
nelle sue e le stringe forte. Sento l’inconfondibile odore di patchouli e
quello particolare del suo corpo che mi sovrasta.
“Il
messaggio che mi insinua nella testa il film va un po’ più in là ed è la
possibilità di praticare un amore impossibile in apparenza fra lei replicante,
che però forse non ha scadenza e può provarci, e il cacciatore che dovrebbe
eliminarla e invece se ne innamora follemente decidendo che non c’è niente che
non si possa superare, non c’è nessuna barriera che non si può almeno provare a
scavalcare. In realtà si tratta di un coraggioso tentativo di amare qualcuno al
di là delle consuete convenzioni “
Mentre
mi parla Valentina sopra di me stringe le gambe attorno ai miei fianchi, si
china prendendomi la testa fra le mani e regalandomi piccoli baci sul viso.
“Non
c’è distanza, né età, né consuetudini, né etnie diverse che possano impedire
davvero la possibilità di unirsi e provare ad amarsi in profondità, senza
riserve. In fin dei conti da 30 anni, con migliaia di chilometri che ci
separano, ci abbiamo provato e forse ci siamo un po’ riusciti. Perché io sono
qui e sono contenta di esserci come mai avrei potuto immaginare “.
*
Blade
Runner è un film di fantascienza del 1982 diretto da Ridley Scott, con la
sceneggiatura scritta da Hampton Fancher e David Webb Peoples e liberamente
ispirata al romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of
Electric Sheep?) di Philip K. Dick. Il film è ambientato nella Los Angeles del
2019, presentata come una delle megalopoli sopravvissute al definitivo degrado
e dilagante inquinamento del pianeta dal quale tutti coloro che ne hanno avuto
la possibilità sono migrati. Si sono spostati nei diversi pianeti scoperti e
raggiunti, le colonie extramondo dove molte attività sono state affidate a
replicanti nella versione più aggiornata Nexus 6. Sono modelli del tutto
indistinguibili dagli umani, se non attraverso il test della macchina di Voigt-Kampff
che li riconosce dalle reazioni della retina degli occhi quando si provoca
delle emozioni attraverso particolari domande. Ormai più abili, più
intelligenti e resistenti degli umani i Nexus 6 vengono utilizzati come forza
lavoro nelle colonie extra-terrestri, dai gruppi di combattimento alle attività
domestiche o per l’intrattenimento sessuale delle truppe e naturalmente nelle
attività lavorative più difficili e rischiose. Per contenerne e controllarne
l’azione sono geneticamente costruiti per vivere solo quattro anni. Nei casi di
ribellione un corpo di agenti speciali di repressione, i Blade Runner,
intervengono per “ritirarli” cioè per procedere alla loro eliminazione.
Nell’ambientazione
distopica del film, che si svolge per la gran parte di notte o comunque in una
Los Angeles immersa in una cappa scura di smog e in una permanente
pioggerellina inquinata e soffocante, la popolazione residua della megalopoli è
composta in gran parte da derelitti devastati dall’ambiente invivibile o in
visita dalle colonie, che affollano il centro della città. I quartieri centrali
più popolosi hanno l’aspetto di un grande mercato popolare asiatico,
frequentato da venditori di tutti i tipi, compresi bioingegneri che producono
parti e organi per costruire bioautomi di seconda scelta o commercianti di
animali finti perché sulla Terra è difficile reperire animali veri. Soltanto
nell’ultimo minuto del lungo film, nella scena finale dove Deckard e Rachel
fuggono dalla città, si intravede dall’alto un paesaggio naturale alla luce del
sole, con prati assolati, boschi e montagne; in realtà messo nel film
recuperando spezzoni scartati dal film Shining di Stanley Kubrick del
1980.
È
singolare che della meravigliosa colonna sonora del film in gran parte opera
del musicista greco Vangelis per anni sia circolata una versione di fatto
inattendibile e scadente della New American Orchestra che non c’entra
praticamente nulla con il film né con Vangelis. A parte alcuni spezzoni del
1989 soltanto dodici anni dopo, nel 1994 Vangelis, che evidentemente aveva
avuto seri problemi con il regista nella post-produzione, ha prodotto una
versione completa e ufficiale della colonna sonora.
Del
film esistono diverse versioni, da quella principale (Director’s Cut) dove
tutti i dettagli di ogni scena sono stati elaborati e curati con metodica
attenzione, alla cosiddetta “copia lavoro” e ad un enorme mole di spezzoni,
scene e dialoghi non utilizzati. Il film, dal rilevante costo di venti milioni
di dollari per più di due anni di lavorazione, ha avuto inizialmente alla sua
uscita un mediocre giudizio della critica. In modo inaspettato il suo successo
è man mano esploso nei dieci anni successivi, accompagnato da un enorme numero
di recensioni, valutazioni analitiche, saggi accademici e libri. Fra questi ultimi
in italiano il più completo è il testo di Paul M. Sammon, un volume di 280
pagine in formato largo, in cui tutta la storia del film, degli autori, degli
attori, della scenografia, dei testi di dialogo, delle scene e parti non
utilizzate nella versione originaria, sono raccolti e raccontati fin nei più
minuti particolari. Dopo “2001 Odissea nello spazio” (Stanley Kubrick, 1968) e
seguito da “Dune “(David Lynch, 1984) Blade Runner può essere considerato il
primo e forse il più complesso e riuscito film di fantascienza del XX° secolo.
Nel 1993 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della
Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America.
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