Tre mesi all’ora X - capitolo 11


 Alle porte del nemico

“Che fai per fine anno?”

Me lo chiedono in parecchi in fabbrica fra i vecchi compagni di battaglie, qualche amica anche un po’ troppo curiosa, qualche parente con cui mantengo anche da lontano legami consolidati. In genere non so mai bene cosa rispondere. Sono allergico alle feste comandate, cioè quelle decise dal calendario ed oggi è il venerdì dell’ultima settimana dell’anno. Domani è Natale e a pranzo non farò assolutamente nulla. Musica, letture e relax, è così che vorrei passare i giorni di festa in un piovigginoso fine settimana invernale.
Valentina con Speranza sarà a pranzo dai genitori, cocciuti ultrasettantenni separati che solo Speranza riesce a riunire allo stesso tavolo.  Con insistenza hanno invitato come sempre anche me ma quest’anno non me la sono sentita. La sera avrò le due donne più importanti della mia vita a cena tutte per me e fingerò di essere un cuoco perfetto anche se so che non è vero. 
A metà della prossima settimana, subito dopo Natale, ripartiranno per l’India attraverso un giro lungo che credo le farà passare da Londra e difficilmente le rivedrò prima di maggio o giugno, quando i monsoni cominceranno a soffiare sull’Oceano indiano con la solita immancabile valanga di piogge e di problemi per gli indiani. Probabilmente prima arriverà Hope e un mese dopo Valentina, fra la primavera e l’estate. 
 
La mia casa dopo la scomparsa di mia zia è raddoppiata, con le due entrate separate al pianerottolo ma con una porta interna che è stata facilmente aperta nel muro e che semplicemente in loro assenza richiudo. La tengo chiusa perché così ridivide in due parti l’alloggio, e mi piace che riprenda vita con mia grande soddisfazione solo con il loro arrivo. Devo badare ogni tanto a tenere pulite le stanze arieggiando o scaldando un po’ a seconda del periodo dell’anno. Valentina quando c’è ne occupa gli spazi solo in modo minuscolo, qualche vestito e qualche libro. Di fatto l’altro pezzo di alloggio è diventato il regno di Speranza che lo riempie di colori, quadri, piccoli soprammobili e ricordini.
Quando arriva la fine dell’anno cerco di svicolare per quanto riesco dagli impegni prevedibili. Alla larga da feste, grandi pranzi e grandi cene, mi rintano da qualche parte, in genere in casa, e tiro fuori il mio diario dell’anno dove ho l’abitudine quasi tutti i giorni di scribacchiare qualcosa: cose fatte, sensazioni, spese fuori dalla regola, viaggi, avvenimenti importanti qui in Italia o nel mondo, numeri, statistiche, articoli e libri letti che mi hanno particolarmente colpito. E poi foto, ritagli di giornali, mappe, mie note, appunti, commenti sintetici, trascrizioni di brani particolari dalle più diverse provenienze e dei più diversi argomenti. Non è che ci perda molto tempo durante l’anno, non più di qualche minuto al giorno, ma alla fine la mia agenda si gonfia e si deforma fino a diventare una specie di superpanino di McDonald dove c’è dentro di tutto.  In questa ultima settimana mi sono preso il mio librone e me lo porto dietro prevedendo di avere un po’ di tempo per sfogliarlo e completarlo per l’anno che scivola via. Qualche foto e qualche ritaglio di giornale o di locandine colorate mi ricordano con piacere il mio singolare viaggio a Mosca e la strana vicenda di Teresa, comparsa nella mia vita come una meteora e sparita, senza che io avessi avuto il coraggio di ricercarla per una singolare forma di timidezza di cui spesso mi chiedo le ragioni. Mi resta la fastidiosa    sensazione di aver smarrito senza ragione una persona di qualità diventata ormai irraggiungibile. 

Nei miei ricordi e contatti con il mondo quest’anno però c’è una novità: si è aperto in questi ultimi mesi uno strano dualismo in me fra il web e il resto del tradizionale mondo reale.  Parecchi mesi fa è comparso un singolare programma sul web che si chiama Napster, che sarebbe un programma di “file sharing” come mi ha scritto e spiegato Speranza che dall’ India ha fatto la scoperta prima di me andando a trovare degli amici in Germania. In pratica permette di trovare e scaricare gratuitamente migliaia di pezzi musicali di tutti i generi, di tutte le epoche e, allo stesso tempo, conoscere persone di ogni parte del mondo e chattare, cioè chiacchierare per iscritto con loro. Nonostante si affermi che non è legale sta dilagando fra i giovani e non solo loro. Subito dopo è arrivato Messenger, che sarebbe un servizio di “messaggistica istantanea”, cioè scrivi il messaggio, lo mandi e dopo un attimo è arrivato. Permette quindi di mandare e ricevere messaggi facilmente e in grande quantità, anche questo gratuitamente. Già da due anni si è diffuso Google, un motore di ricerca e utilizzo di dati, informazioni e notizie che sembra non avere limiti. I due inventori, due studenti dell’Università di Stanford, in California a poche decine di chilometri da San Francisco, nel costituire la società riguardante il “motore di ricerca” si erano ispirati probabilmente al termine googol coniato sessanta anni prima da un matematico americano per indicare il numero con 1 davanti seguito da cento zeri, cioè un numero enorme, per far riferimento alla grande quantità di dati che il nuovo sistema mette a disposizione.

Mi sento un po’ in difficoltà con queste novità ma, essendo di mestiere un ricercatore da decenni, ho una curiosità irresistibile per questi enormi contenitori di dati e informazioni e mi sono impegnato seriamente per imparare ad usarli quotidianamente per quanto forse con i miei cinquantadue anni dovrei sentirmi un po’ affannato con questo insieme di novità tecnologiche. Ho ripensato a tutte queste novità una sera dopo cena andando al cinema con Valentina e Hope, un avvenimento che avviene di rado. Lo strano film che abbiamo visto è Matrix e sono rimasto quasi stupito che il più soddisfatto all’uscita fosse il meno giovane dei tre cioè io.
In verità molti aspetti del film non mi hanno entusiasmato. Si dice che il film avrebbe rivoluzionato completamente la cinematografia, sia per gli effetti speciali, sia per i contenuti proposti. Ho trovato una novità gli effetti speciali che rendono palpabile la consistenza della rete come un luogo oscuro e insidioso dal quale si può entrare o uscire attraverso il filo di un telefono che squilla. Invece mi è sembrato eccessivo l’uso ripetuto delle arti marziali nello scontro incalzante, senza soste, promosso dagli agenti delle macchine che vogliono reprimere la ribellione rappresentata da Morpheus e Nemo che vogliono uscire dal mondo illusorio creato dalle macchine e riconquistare la possibilità di vedere il mondo reale. Resta inoltre il problema che il mondo reale è andato in pezzi e non capisco quale sia l’obiettivo finale del film se non quello di invitare a non avviarsi sulla strada che lascia campo libero alle macchine. Certo, forse per la prima volta viene presentato in modo esplicito e violento lo scontro in un ipotetico ma non impossibile futuro fra l’uomo e le macchine. Queste hanno ribaltato il rapporto di dipendenza fino al punto che l’umanità vive in un mondo di immagini fittizie che hanno sostituito e nascosto la realtà ormai sotto il controllo delle macchine. Queste hanno bisogno degli uomini solo come delle pile per trarre dal loro corpo l’energia per il prorio funzionamento. Ma oggi siamo ancora in una fase storica dove lo sviluppo della rete e del digitale ed il conseguente sviluppo dell’automazione sono vissuti, per lo più e per la maggior parte delle persone, come strumenti di un potenziale aumento della comunicazione fra gli individui nel tempo, nello spazio, nella velocità di comunicazione e nella quantità di dati che si possono far viaggiare. Di gran lunga un insieme di potenziali effetti vissuti da tutti come positivi, anzi quasi entusiasmanti.  La cibernetica e i robot sono certamente il passo successivo. 

Il segreto che svela Morpheus a Nemo è difficile da comprendere e darvi credito oggi: “... tu sei uno schiavo. Come tutti gli altri sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore, una prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado purtroppo di descrivere Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos'è...” 
La realtà è che il film è oggi eccessivo, frutto di un eccesso di visone culturale che potremmo malamente chiamare intellettualoide. Forse Matrix sarà un film più facile da digerire fra alcuni decenni ed oggi le città distrutte, le fitte coltri di nubi zeppe di veleni e inquinamento che per pochi attimi si intravedono, vengono respinte solo come possibili realtà di un lontanissimo futuro e relegate solo ad un divertente e singolare prodotto cinematografico di fantascienza.  

Valentina, visto il film, non ha fatto una piega. Ha una scarsa fiducia e propensione per l’uso delle macchine, tanto più quelle informatiche che usa al minimo e per poche ed essenziali funzioni: scrivere, far di conto, comunicare rapidamente se è proprio necessario. Ha trovato il film troppo violento, troppo assillante, inutilmente ansiogeno, per certi versi monotono, ripetitivo e poco credibile. Speranza ha subito sorvolato sul significato del film con una battuta su Nemo (Keanu Reeves) troppo bello e su Trinity troppo fredda e troppo poco femminile. In realtà Speranza è sempre perfettamente aggiornata su qualunque novità nel mondo della comunicazione ed usa tutti gli strumenti che le permettono di mettersi in contatto con le tante persone che conosce nelle più diverse parti del pianeta sia per i suoi studi all’Università, sia per il lavoro della cooperativa di cui cura l’export in diversi paesi dell’Occidente.
È stato proprio dopo il film, tornando a casa dopo una bella passeggiata notturna lungo il fiume, che Valentina mi ha dato una lettera chiusa, dicendo che raccontava un po’ di cose della loro vita in India che però non voleva fossero al centro di questo nostro incontro di fine anno e mi chiedeva quindi di leggerla solo dopo la loro partenza per il viaggio di ritorno  confermandomi che, prima di tornare al villaggio, sarebbero passate per Londra e poi per Berlino. Lettera accompagnata solo da una misteriosa battuta: “Ci sentiamo un po’ il nemico alle porte, anzi ci sentiamo alle porte del nemico, ma leggi e rifletti con calma. Ne riparleremo alla prossima nostra visita”.

Due giorni dopo accompagno Valentina e Speranza all’aeroporto in partenza per Londra. Ormai alle loro partenze mi sono abituato. Faccio di tutto per mostrarmi tranquillo e rilassato, scherzando con loro mentre le aiuto a portare zaini e valige multicolori piene di regalini di Natale. So che non le rivedrò prima di cinque o sei mesi, verso la fine della primavera. Ciò che mi lascia più in pena è la mancanza di notizie che patirò, a volte anche per molti giorni, un po’ attutita negli ultimi anni dalla maggiore facilità di comunicare via internet. Per quanto Valentina mi abbia rassicurato e Speranza proprio non me ne abbia nemmeno parlato ho con me la lettera che apro appena sono sparite nell’area partenze dell’aeroporto.

Caro Matteo
In accordo con Hope ho deciso di aggiornarti per iscritto su alcuni problemi che non volevamo turbassero la gioia dei nostri giorni con te. Ci piace assaporare con calma e tranquillità i nostri incontri di fine anno senza essere distratti da piccole tensioni che non hanno comunque oggi una particolare gravità ma che non possiamo nasconderti.
Come sai la cooperativa di donne che ormai da anni abbiamo pian piano fatto nascere e poi mantenuta con grande fatica ma anche soddisfazione e divertimento si è molto ampliata e quasi siamo spaventate per l’impegno e le responsabilità che con il tempo ci coinvolgono sempre di più. All’inizio si trattava di quattro o cinque donne del villaggio, con le quali abbiamo iniziato a produrre piccoli abiti, utensili, collane e monili vari, quasi per gioco. Dopo qualche tempo, la presenza di parecchi bambini ci ha spinte ad organizzarci con un piccolo doposcuola, che per alcune donne di casta più povera era in realtà l’unica scuola che i loro figli avevano la possibilità di frequentare. Inizialmente Hope, andando alla scuola inglese e poi all’Università, ci dava solo una mano. Ma poi i frequenti viaggi di Hope a Berlino e Londra, la sua capacità di muoversi con destrezza e la conoscenza delle lingue, la sua maggiore responsabilità nella cooperativa, una volta terminata l’Università e iniziando a curare l’export in vari paesi, ci hanno consentito di fare un salto di qualità e di impegno.

Oggi della cooperativa fanno parte almeno quindici donne, alcune ormai da molti anni, altre giovanissime ed entusiaste per la possibilità di avere un piccolo lavoro in un clima tranquillo e operoso. Produciamo di tutto in modo volutamente artigianale e centinaia di manufatti con il piccolo logo della cooperativa finiscono non solo in varie parti dell’India ma ormai anche in diversi negozi di Londra, Parigi e Berlino. Le donne sono di diversa casta ed etnia. Per lo più sono donne della nostra regione, il Maharashtra, quindi indiane di etnia marathi o gujarati e di religione induista, ma fra le ultime ne abbiamo accolte anche due di religione musulmana, due cristiane e una buddista, sulla base del principio che la cooperativa non fa discriminazioni né di casta, né di etnia, né di religione. In effetti la varietà di presenze non ha creato alcun problema fra le donne anzi alcune differenze culturali hanno arricchito la cooperativa ad esempio per la varietà del vestirsi e del mangiare. Questo a sua volta ha arricchito anche la qualità e l’originalità dei prodotti che facciamo. Un po’ più complicata è diventata la gestione dei bambini che, stante anche la prolifica attitudine del paese, sono diventati una cinquantina e non tutti parlano lo stesso dialetto (in India ci sono una decina di lingue e duemila dialetti). Abbiamo ottenuto una sorta di permesso dalla autorità del Distretto per una specie di doposcuola nel quale si utilizza moderatamente l’inglese, che peraltro nelle caste superiori è di fatto insegnato come una seconda lingua.
Così, con dei turni settimanali, tutte le donne, che abbiano figli o no, compresa io e Hope quando non è in giro per l’India o per il mondo, lavoriamo nella produzione dei manufatti o nel piccolo negozio aperto nel villaggio da qualche anno, ma anche nel doposcuola attrezzato accanto al locale di produzione e al negozio. Confesso che siamo entusiaste di questa esperienza e lo sono tutte le donne che ne fanno parte. Per il momento abbiamo deciso di non ampliare ulteriormente la cooperativa e quindi limitare la quantità di quello che produciamo, pur sapendo che non avremmo problemi di mercato. Così come siamo costrette a limitare gli ingressi al doposcuola perché altre donne e bambini, anche non appartenenti alla cooperativa, arriverebbero immediatamente. Nel villaggio questa attività è stata sempre ben vista. 

Se la mia origine occidentale è evidente ma la mia presenza in India è ormai più che decennale, l’aspetto di Hope la identifica istantaneamente come indiana anche se a tutti la sua origine invece non è chiara. Parla perfettamente il maharati, l’inglese, l’italiano e moderatamente il tedesco oltre a qualche parola di arabo. Anche gli uomini del villaggio sembra abbiano ben accolto questo strano esperimento e fino ad oggi la stessa amministrazione locale si è fatta quasi un vanto della nostra attività. Tuttavia, alcune cose stanno cambiando in India negli ultimi anni e in qualche modo, forse anche per la vicinanza di Mumbai e Poone, arrivano gli echi di questi cambiamenti anche nel villaggio.
In altre zone del mondo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino e poi il crollo dell’Unione Sovietica ci hanno fatto pensare, o forse ci hanno illuso, che con la fine del secolo arrivasse un po’ l’ora X di un diverso possibile equilibrio e di una nuova convivenza fra i popoli del mondo. Ma vedevamo solo il nostro mondo. Mi sembra che questa ora X al momento non sia scattata e tensioni e guerre locali, con nuovi protagonisti e nuove ideologie ma la stessa potenzialità nefasta, si stiano sostituendo al vecchio bipolarismo. Come sai dal 1998 l’India è governata dai nazionalisti conservatori del Bharatiya Janata Party, alleati con diversi partiti locali anche di estrema destra. Nel Maharashtra proprio qualche mese fa le elezioni dello Stato hanno visto un consistente risultato di Shiv Sena (Esercito di Shiv).  È un partito politico terrorista di estrema destra chiamato Bandar Sena, i cui membri esistono da anni e sono nazionalisti maharati. Per la prima volta hanno ottenuto 15 seggi. Sono ostili a tutte le minoranze presenti nel paese, agli stranieri e a qualunque forma di novità e di progresso. La loro nefasta influenza è arrivata anche nel nostro distretto. 

Io sono tranquilla e abituata a sopportare e sopravvivere anche in situazioni difficili ma Hope, nel suo girare in vari paesi dello Stato ha avuto qualche scontro con questi personaggi. Lei è giovane, non tollera gli intolleranti e reagisce apertamente senza paura a qualunque atteggiamento di ostilità. Non ha digerito affatto l’arrivo dei Nazionalisti al governo dell’India e ancor meno il successo di Bandar Sena nel Maharashtra, dove le tensioni fra i diversi gruppi etnici si sono notevolmente accentuate. In più di un’occasione ha espresso la sua insofferenza per dover vivere alle porte del nemico, cioè “quelli di Poona e Mumbai “fino al punto di pensare che potremmo andarcene dall’India fino a quando questi signori non vengono esclusi dal governo. Mi ha parlato di Berlino dove sembra abbia ormai amicizie solide che non mi sono ancora chiare per la verità. Al villaggio è tutto assolutamente tranquillo ma, come vedi, a tutte le latitudini del mondo gli uomini non disdegnano mai di mettersi nei guai.

Ho riletto due volte la lettera prima di metterla via con crescente disagio e una notevole preoccupazione. Davvero non c’è nessuna ora X e l’onda lunga delle disuguaglianze e dell’intolleranza non sembra dimenticare nessuna parte del pianeta.

*
Alla fine del ventesimo secolo l’India, dopo aver conquistato l’indipendenza nel 1947 e aver subito la divisione del paese con la nascita del Pakistan musulmano, era una Federazione di 35 Stati e Territori con circa un miliardo di abitanti. Per quanto formalmente abolita nel 1950, in gran parte del paese la divisione in caste, quattro principali e varie secondarie, permaneva sia nelle grandi città che nelle campagne. Dopo le diverse guerre con il Pakistan, principalmente per l’assetto del Kashmir, dopo l’assassinio di Indira Gandhi nel 1984 e successivamente del figlio Rajiv Gandhi nel 1991, la costante tensione sociale ed il crescente peso del nazionalismo di destra hanno portato nel 1998 per la prima volta alla sconfitta del Partito del Congresso (INC) di orientamento moderato e socialista fondato da Gandhi e Nehru. È salita al governo una Alleanza del Partito popolare, di orientamento nazionalista conservatore (BJP), unito con vari gruppi di destra presenti nei diversi Stati fra i quali nel Maharastra, secondo Stato dell’India con circa cento milioni di abitanti, il partito Bandar Sena di orientamento nazista e terrorista, ostile verso gli stranieri e tutte le minoranze non indù presenti in India (musulmani, cristiani, buddisti). 

L’influenza di Shiv Sena nell’alleanza con i conservatori del Bharatiya Janata Party (BJP) era tale che già nel 1995 era stato ufficialmente cambiato il nome della capitale Bombay. Questo nome riecheggerebbe una denominazione portoghese prima e inglese poi (Baia bella). La nuova denominazione di Mumbai invece deriverebbe dal nome della dea indiana Mumbadevi, alla quale è dedicato un importante tempio della città. Il nuovo nome in realtà è indifferentemente usato come quello di Bombay da parte di molti indù locali.
Nello stesso anno 1998 del cambio di governo l’India diventava ufficialmente, in contemporanea con il Pakistan, un paese dotato di armamenti nucleari.


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