La metamorfosi di Angelica
Angelica è probabilmente la donna più
simpatica, più sveglia, più intelligente che conosca ed è anche, come me, una
convinta ecologista da anni. Da almeno quindici anni vive e lavora a Friburgo
in Germania ma frequentemente viene in Italia, passa da Torino dove rivede i
genitori e immancabilmente passa a trovare anche me. È anche una bella ragazza,
formosa e quasi cicciottella, ma per strane e in parte incomprensibili ragioni
siamo da vent’anni amici, forse qualcosa di più di normali amici, ma sempre contenuti
nella nostra spontanea attrazione e reciproca simpatia. I nostri incontri sono un
po’ singolari: lei mi aggiorna su quanto sta succedendo in Germania nelle nuove
tecnologie energetiche, suoi nuovi modelli urbanistici delle abitazioni e sulle
novità a riguardo di trasporti non inquinanti. Il suo lavoro da ingegnere
consiste proprio nel seguire le nuove esperienze sviluppate in Germania e
assumere le competenze tecniche e commerciali sufficienti a riproporle anche in
altri paesi europei. Svolge questa attività
da anni per conto di un gruppo di piccole aziende riunite che di fatto sembrano
essere l’avanguardia in questi settori sensibili agli impatti ambientali delle
tecnologie energetiche e che proprio a Friburgo stanno concretamente attuando
grandi innovazioni sull’intera città. Friburgo, una cittadina del sud della
Germania di duecentomila abitanti, è sede di una grande Università con quasi
ventimila iscritti, molto frequentata anche da studenti di altri paesi. La
città dal 1982 è di fatto governata o condizionata dai Grünen, gli ecologisti
tedeschi, che stanno conquistando posizioni rilevanti nelle amministrazioni dei
Länder, le regioni della Germania, e che in molti comuni fanno proposte che
stanno avendo un certo successo. Il
loro peso è di molto aumentato negli ultimi due anni perché dal 1998 governano
la Germania con i socialdemocratici, con un ministro degli Esteri molto
conosciuto, ma soprattutto con un ministro dell’Energia che sta tentando di far
approvare un nuovo piano energetico che prevede di azzerare in venti anni il
ricorso all'energia nucleare.
Angelica
mi racconta nei particolari, a volte per ore, tutte le novità del momento
comodamente seduti in un vecchio bar a pochi passi da casa mia presso la
Galleria San Federico. I proprietari del bar conoscono il nostro rituale che si
ripete ormai periodicamente da anni e ci lasciano tranquilli nel nostro
tavolino d’angolo. Credo che gli altri
avventori del locale immaginino chissà quali scambi di dolcezze amorose e non
pensano certo che ci stiamo aggiornando a bassa voce, davanti a due tazze di tè
e qualche biscotto, sulle ultime rappresaglie che i nuclearisti tedeschi
tentano di attuare, anche se sembrano quasi vicini alla resa, preoccupati che
l’influenza degli ecologisti possa aumentare e dilagare anche fuori dalla
Germania nel resto d’Europa, dove gli ecologisti hanno uno scarso peso e dove i
programmi nucleari, specie in Francia e Gran Bretagna, non si sono fermati per
niente.
Quando
ho conosciuto Angelica, all’inizio del 1980, aveva quasi 22 anni e frequentava
il terzo anno di ingegneria nucleare al Politecnico di Torino negli anni in cui
il nucleare veniva lanciato alla grande per conquistare il mondo. Nove mesi
prima in Pennsylvania il reattore nucleare di Three Mile Island, un grande reattore
ad alta pressione, aveva avuto il primo grave incidente, fra quelli noti, della
storia del nucleare nel pianeta e mezzo mondo aveva sudato freddo. Un desolante
deficit negli strumenti di controllo, negligenza delle procedure e il guasto di
una valvola di vapore nel circuito secondario di raffreddamento che non si era
aperta o sembrava sempre chiusa, avevano portato nel giro di poche ore al
limite dell’incidente più grave che possa avvenire in un impianto nucleare: il
meltdown. Il termine indica la fusione del nocciolo contenente le barre di
materiale radioattivo e la contemporanea possibilità di una grande esplosione a
causa della liberazione di grandi quantità di idrogeno ad alte temperature e
pressioni. Quello che aziende ed esperti nucleari avevano sempre indicato come
impossibile, cioè con una possibilità di incidente con probabilità vicino a
zero. Soltanto dopo un mese dall’avvio del disastro la possibilità di
esplosione e completo meltdown venne esclusa e l’impianto entrò nella fase di
“arresto freddo”.
Quando
il mondo finì di tremare il dibattito sul reale pericolo del nucleare, fino ad
allora sostenuto solo da sparuti gruppi di ambientalisti, cominciò ad assumere
dimensioni tali da mettere in crisi i galoppanti programmi di sviluppo del
nucleare nel mondo. Qualche crepa cominciò a mostrarsi anche fra gli esperti
del settore e probabilmente anche fra gli studenti della facoltà interessata da
questa tecnologia, fra i quali all’epoca c’era anche Angelica. Quando la
conobbi al Politecnico era con altri addetti alla registrazione degli ingressi
ad un convegno cittadino sul Piano Energetico Nazionale in preparazione della
grande Conferenza Nazionale che si sarebbe svolta a breve a Venezia. All’epoca Angelica era splendidamente
giovane, allegra, socievole e candidamente convinta che non ci fosse niente di
più conveniente, più pulito e più sicuro nel modo di produrre energia
elettrica, di un moderno impianto nucleare, o almeno lo era stata di certo fino
a qualche mese prima. Quando nella sala del Politecnico mi fermai al tavolo per
registrarmi e mi spiegò come fare, rimase interdetta quando al momento di
compilare il modulo di ingresso, alla voce che indicava l’ente di appartenenza
dichiarai che non facevo parte di nessun ente ma che ero un chimico di trentadue
anni, lavoravo come ricercatore in una fabbrica ma ero lì come appartenente ad
un Comitato appena nato contro il nucleare. Mi guardò stupita e dopo un attimo
di perplessità ed un grande sorriso imbarazzato mi disse di scriverlo insieme
al mio nome che sarebbe stato sufficiente. Cominciammo a chiacchierare,
all’inizio scherzando un po’ sulla mia presenza ad un convegno dove la
maggioranza erano studenti del Poli o funzionari delle varie aziende
energetiche pubbliche e private del Nord Italia. Seguii per un po’ gli
interventi del convegno ma durante l’intervallo con un po’ di faccia tosta mi
riavvicinai al suo tavolo e le chiesi come si poteva fare per partecipare alla
Conferenza di Venezia.
Decisamente
sorpresa mi riferì che l’ingresso era riservato a quadri e dirigenti di tutte
le principali aziende del settore energetico, ma anche a studenti del
Politecnico, su precisa indicazione di alcuni docenti notoriamente filonucleari
e aggiunse che alcuni di questi studenti fra i quali anche lei, si sarebbero messi
a disposizione per le registrazioni dei partecipanti. Quindi mi confessò,
sincera e un po’ imbarazzata, che non c’era nessuna possibilità di accesso ad
uno come me ad una Conferenza che aveva il chiaro obiettivo di rassicurare
l’opinione pubblica sulla validità della scelta del nucleare.
All’epoca
era in ballo la costruzione della centrale nucleare di Caorso ma soprattutto
c’era in discussione il primo Piano Energetico Nazionale. Votato nel 1975 da un
Parlamento dove la gran parte degli eletti, di destra e di sinistra, erano favorevoli al nucleare pur non sapendo la
gran parte di loro neanche cosa fosse un isotopo radioattivo, il Piano nelle
sue grandi linee indicava delle previsioni
di futuri fabbisogni energetici con
aumenti esponenziali e proponeva come
soluzione la programmazione e l’avvio della costruzione di 62 centrali nucleari
nel nostro paese entro la fine del secolo, cioè nei venticinque anni
successivi, fra il 1975 ed il 2000 : obiettivo improbabile ma di sicuro la
garanzia di una montagna enorme di soldi inimmaginabile tutta a favore delle
lobby del settore per decenni.
Chiesi
ad Angelica di rivederci il giorno dopo per parlarne meglio e sorprendentemente
accettò. Così ci vedemmo per la prima volta nel nostro bar dove ci incontriamo
ancora oggi dopo quasi 20 anni. Le spiegai a lungo il mio punto di vista
contrario e preoccupato per le tecnologie nucleari e favorevole a cercare altre
forme nuove di produzione energetica meno pericolose e meno costose. Spiegai il
mio punto di vista secondo il quale la scelta del nucleare civile ci esponeva a
rischi per decenni o meglio centinaia di anni. Inoltre l’idea che il consumo di
energia fosse sicuramente in aumento continuo e inarrestabile all’infinito non
era né scontata, né augurabile né sostenibile. Infine, la sicurezza delle
centrali che i nuclearisti delle industrie del settore davano per certissima
forse certissima non lo era affatto. Aggiunsi che si poteva cercare di
sviluppare fonti alternative utilizzando anche l’energia solare che si può considerare
infinita e rinnovabile.
Angelica
mi ascoltava con attenzione. All’inizio ribatteva con i soliti argomenti che
avevo imparato a memoria nei dibattiti e conferenze contro i nuclearisti
dell’Enel: Convenienza economica ormai al di sopra del petrolio. Le scorie,
quando si dovranno smaltirle, si potranno eliminare in sicurezza in appositi
siti. Possibilità di incidente di uno per un milione di anni o stime simili
basate su un azzardato e secondo me inventato calcolo statistico. L’argomento che più la metteva in difficoltà
era la possibilità, per non dire la sicurezza, che si potesse utilizzare i
materiali radioattivi di alcuni reattori nelle tecnologie militari per
costruire e far proliferare le armi atomiche.
Ricordo
bene ancora adesso il suo progressivo cambiamento di attenzione quando
ribattevo puntualmente alle sue posizioni che poi erano esattamente quelle che
circolavano in una parte almeno dell’ambiente universitario e fra gli ingegneri
dell’Enel. Nella discussione fra noi riportai la mia esperienza in alcuni
dibattiti con i filonucleari, i cui argomenti, sempre gli stessi, sempre basati
su valutazioni tecniche di cui non si capiva mai la base di riferimento e
l’accusa sempre presente nei nostri confronti di essere contrari alla scienza e
favorevoli solo allo sviluppo di fonti alternative rinnovabili che venivano
considerate vaghe, ben lontane nel futuro ed economicamente assolutamente non
convenienti.
Angelica
mi ribadì che la partecipazione alla Conferenza Nazionale era riservata agli
addetti ai lavori: funzionari delle aziende del settore, docenti, studenti
universitari, aspiranti ingegneri ed esponenti politici selezionati, sui quali
l’industria nucleare contava per mandare avanti i suoi impianti. Ovviamente
tutti consapevoli che sulla Conferenza Nazionale incombeva ancora l’effetto
possibile sull’opinione pubblica dell’incidente di Three Mile Island di quasi
un anno prima, sul quale per la verità era calato un preoccupante silenzio.
Il
nostro incontro al bar si prolungò per quasi tre ore, terminando quando il
locale era ormai vuoto e il cameriere ci informò gentilmente che era l’ora
della chiusura. Dichiarammo reciprocamente un armistizio provvisorio facendo
l’ipotesi di un eventuale altro incontro dopo la Conferenza in programma nelle
settimane successive. Ci salutammo cordialmente mentre pensavo che
probabilmente questa bella e simpatica studentessa di ingegneria nucleare del
Politecnico non l’avrei più rivista né sentita.
Invece
passò una settimana e una sera a tarda ora ricevetti una sorprendente
telefonata che ricordo bene perché proprio non me la sarei mai aspettata.
“Matteo sono Angelica, sì quella del nucleare, sì il futuro ingegnere che
vorresti lasciare disoccupato. Vorrei continuare la discussione lasciata a metà
e anche parlarti della Conferenza Nazionale.”
Una voce di sicuro un po’ imbarazzata ma decisa a rivederci. Mistero.
Così
concordammo di vederci la sera dopo ma a casa mia per non avere un cameriere
che potesse buttarci fuori dal locale anzitempo. Angelica arrivò puntuale, elegante un po’
casual, un vago profumo che avevo già sentito, un librone sotto il braccio e un
pacchetto in mano. Aveva una decina di
anni meno di me e a questo inizialmente attribuivo il suo lieve disagio nel
venire a casa mia. Indubbiamente era una persona attraente ed ero curiosissimo
di fare domande, dichiarandole la mia sorpresa sulla misteriosa ragione
dell’incontro. La presi alla larga: cominciai chiedendole, mentre la salutavo
abbracciandola, quale fosse il piacevole profumo che usava e mi confermò il
sospetto: era essenza di patchouli.
Chiesi del librone e quando me lo mostrò lo riconobbi: un consistente
dossier sull’incidente di Three Mile Island. Rimase sorpresa lei questa volta
quando le dissi che ne avevo già una copia e lo avevo letto per intero ben due
volte. Non era l’unica persona del Politecnico che conoscevo. Sul pacchetto che
aveva in mano la sorpresa fu mia: gelato al gusto di marroni, nutella,
pistacchio: praticamente una squisita e poderosa bomba calorica difficile da
trovare in giro in pieno inverno. Andai
infine al dunque chiedendole esplicitamente come mai aveva voluto questo
incontro. Questa volta la prese lei alla larga e propose di sederci da qualche
parte. Era un po’ arrossita e cercai di non farmi troppo distrarre dall’osservazione
che era proprio una ragazzina di ventidue anni ed era decisamente bella. La
osservai con un’istintiva sensazione di tenerezza nei suoi confronti. So bene
che, per quanto non sia credente, nel caso esistesse andrò comunque in paradiso
per la mia rispettosa correttezza nei confronti delle donne, soprattutto quelle
che già a prima vista mi affascinano e mi incuriosiscono.
Mi
disse che aveva riflettuto a lungo dopo il nostro incontro al bar, che
probabilmente non l’avevo convinta ma che il venire a conoscenza da me della
ipotesi di 62 centrali nucleari in Italia le aveva provocato una certa
inquietudine. Aveva controllato ed era proprio vero, l’ipotesi che veniva fatta
si trovava anche in documenti del tutto ufficiali che non le erano noti. Di
certo ci sarebbe stato tanto lavoro per i prossimi laureandi in Ingegneria come
lei. Fece una pausa, tiro un lungo respiro e mi guardò. Mi guardò profondamente
negli occhi, a lungo, imbarazzata. Solo in quel momento percepii che era
veramente turbata. Poi mi fece la
proposta: non c’era motivo secondo lei che ad una Conferenza come quella, che
era rigidamente chiusa ai non addetti, altri che avevano un‘opinione diversa
dai promotori non potessero nemmeno entrare. C’era però una possibilità, data
dal fatto che lei aveva in carico l’elenco dei partecipanti proposti dal
Politecnico ed uno di questi, un ingegnere di un piccolo gruppo di ricerca
collegato all’Università, aveva all’ultimo momento comunicato che non avrebbe
partecipato perché malato. Si poteva
aggiungere il mio cognome al suo nella lista perché non è raro trovare persone
con il doppio cognome e aggiungere due lettere finali alla breve sigla della
piccola società di appartenenza. In
questo modo, se avessi rinunciato alla prenotazione dell’albergo indicato nell’elenco
ufficiale accanto ai dati anagrafici, sarei potuto entrare passando al suo
tavolo di ricevimento dei partecipanti. Ottenendo così il pass e il cartellino
di questo sconosciuto perché inesistente ingegnere.
Restai
in silenzio per un po’ guardandola, decisamente sorpreso. Mi sembrava che fosse
in corso un’inaspettata metamorfosi di Angelica, davvero sorprendente per una
ragazza di ventidue anni. Per me in fin dei conti non c’erano grandi rischi, al
massimo potevo essere buttato fuori come uno dei soliti antinucleari
rompiballe. Ma per lei la faccenda era più rischiosa essendo inevitabilmente
identificabile come la responsabile di quell’elenco di nomi e glielo dissi. Di
fatto lei rischiava come minimo l’espulsione sicura dal suo corso. Ma non ne volle
sapere aggiungendo che in questo caso avrebbe potuto cambiare in parte il suo
programma di esami e che in realtà già ci stava pensando da un po’. Ci pensai ancora un momento e poi accolsi la
sua proposta. Parlammo a lungo dei particolari della cosa e poi parlammo a
lungo anche di noi. Un buon tè nero, naturalmente fra i migliori rintracciabili
e proveniente dall’ India, ci tenne svegli fino alle due di notte. Solo alla fine, quando Angelica andò via, con
l’espressione un po’ assonnata e un po’ di gelato su un labbro che non osai
indicargli, mi resi conto che avevamo chiacchierato come due amici di lungo
corso per ore. Anche se io avevo dieci anni in più e la conoscevo appena.
Andai
alla Conferenza e tutto filo liscio. Avevamo deciso di evitare assolutamente di
parlarci o farci vedere insieme nei due giorni della Conferenza, neppure
all’esterno della sede dell’incontro perché centinaia di partecipanti erano
ovviamente alloggiati e sparsi in varie zone della città. Al tavolo delle
registrazioni mi misi in coda nella breve fila gestita da Angelica. Presi il
pass e un cartellino con il mio strano nome che appesi al collo per metà
nascosto sotto la giacca sportiva, avendo scartato anche in quella occasione la
classica giacca e cravatta che non sopporto.
Ascoltai
con attenzioni i vari interventi che sul piano tecnico non aggiungevano molto a
quanto già sapevo sulle diverse opzioni tecnologiche riguardanti gli impianti
nucleari che si stavano diffondendo velocemente nel mondo. Ma quando arrivarono
gli interventi più importanti di esponenti politici e dirigenti degli enti
energetici, compresi alcuni francesi e inglesi, ebbi chiaro l’obiettivo della
Conferenza. Si ribadiva che il nucleare era la tecnologia del futuro: la più
sicura, la più conveniente economicamente, l’unica alternativa futura al
petrolio e la meno inquinante. L’incidente di Three Mile Island, dovuto ad un
errore umano che non doveva esserci, rendeva addirittura in futuro il nucleare
ancora più sicuro perché ci insegnava che bisognava perfezionare al meglio la
strumentazione di controllo e allarme. Il messaggio era chiaro: si stava dando
la linea a funzionari, tecnici, docenti, esponenti politici e dei media: il
nucleare va avanti e un incidente non lo fermerà. Seguivo gli interventi ed
ogni tanto con la coda dell’occhio osservavo Angelica che stranamente si era
seduta nella stessa mia fila ma esattamente dal lato opposto della sala.
All’inizio prendeva appunti, poi quando arrivarono gli interventi importanti
smise di scrivere quasi per non perdere nemmeno una parola o una sfumatura di
quanto dicevano.
Parlarono
del Piano Energetico Nazionale necessario per l’Italia. Parlarono della crisi
del prezzo del petrolio sconvolto da guerre e tensioni in Medio Oriente.
Parlarono della necessità di garantire il fabbisogno energetico che sarebbe
stato sempre maggiore per garantire la inevitabile crescita economica dei
prossimi decenni. Parlarono ancora una volta del contributo decisivo che il
nucleare, la fonte più sicura e più pulita, avrebbe dato. Stranamente però
nessuno, neanche di sfuggita, accennò all’ipotesi delle possibili, previste,
future, auspicate, 62 centrali nucleari italiane.
Al
ritorno a Torino passarono parecchie settimane e poi Angelica mi chiamò. Mi disse che per quanto possibile stava
cercando di modificare il suo piano di studio. Un anno dopo si laureò e mi
invitò alla sua festa di laurea alla quale non potei andare perché stavo
partendo per una settimana di vacanza con Valentina e Speranza. Sei mesi dopo
mi informò che partiva per la Germania dove forse aveva trovato lavoro a
Friburgo per lo sviluppo di tecnologie energetiche basate sulla sperimentazione
di impianti solari. Di nuovo sembrava una amicizia finita, non l’avrei più
rivista. Ma invece non fu così. Mi chiamò dopo qualche mese, eravamo proprio
all’inizio della primavera del 1982. Mi propose di incontrarci per raccontarci
le ultime novità. Lei ormai abitava stabilmente a Friburgo. La metamorfosi
incredibile di Angelica sembrava compiuta. Quindi ancora oggi viene spesso a
casa della famiglia in Italia con sei ore di treno o attraverso il volo aereo
da Basilea. E poi passa a trovarmi. Ci vediamo al bar della prima volta, dove
incredibilmente ci incontriamo una o due volte all’anno da diciotto anni.
*
Il
primo Piano Energetico Nazionale italiano fu adottato nel 1975 subito dopo la
prima crisi petrolifera mondiale. L’obiettivo prevalente del piano era quello
di avviare uno scenario energetico futuro basato sulla tecnologia nucleare
sulla base di previsioni, dimostratesi subito palesemente gonfiate, di consumi
elettrici totali in grande aumento. Si giustificava così la proposta di Enel di
costruire in Italia 62 centrali nucleari entro l’anno 2000. Già nei primi anni
’60 l’Italia si era di fatto candidata, a seguito delle forti interferenze e
pressioni di USA e Gran Bretagna, per sperimentare nuovi prototipi di tre tipi
diversi di impianti (PVR, BWR e Magnox) tutti di tecnologia anglo-americana. La
costruzione dei tre impianti avvenne presso le località di Latina, Sessa
Aurunca di Caserta, Trino Vercellese e tutti e tre avviarono la produzione fra
il 1963 e il 1964.
Alle
4 di mattina del 28 marzo 1979 a Three Mile Island (Pennsylvania) nella unità 2
della centrale nucleare locale ebbe inizio l’incidente nucleare più grande e
più grave della storia degli Stati Uniti. Per alcune settimane tutto il mondo
rimase in sospeso a causa del rischio che si potesse arrivare, a seguito della
difficoltà di mettere il reattore sotto controllo, alla fusione del nocciolo
radioattivo ed all’esplosione della bolla di idrogeno formatasi nella cupola
interna del reattore. Già prima nel 1977, poi alla Conferenza di Venezia del
gennaio 1980 e successivamente nel 1985 l’ENEL elaborò alcune stime
progressivamente ribassate dei
fabbisogni, mantenendo però inalterata la opzione nucleare.
Alle
ore 1:30 del 26 aprile 1986, presso la centrale nucleare V.I. Lenin, situata a
18 km dalla città di Cernobyl in Ucraina (all'epoca parte dell'URSS) e a 16 km
a sud del confine con la Bielorussia, avveniva un nuovo gravissimo incidente in
un impianto nucleare che portava ad una esplosione nel reattore e alla
fuoriuscita di materiale radioattivo che nel giro di pochi giorni arrivò ad
essere segnalato in varie nazioni europee fra le quali l’Italia. Ufficialmente
si stimarono parecchie decine di morti nell’immediato e alcune migliaia negli anni
successivi. Altri enti non ufficiali, ad esempio Greenpeace, stimano le perdite
di vite umane negli anni successivi da dieci a cento volte maggiori di quelle ufficiali.
Una enorme porzione di territorio è stata preclusa a qualunque uso agricolo per
un periodo indefinito. Negli anni successivi all’incidente sono stati centinaia
i bambini bielorussi malati ospitati, specie nel periodo estivo, anche in
Italia.
L’8-9
novembre 1987 si svolgeva in Italia un referendum che su tre diverse schede
richiedeva di fatto la chiusura di qualunque attività nucleare nel nostro
paese. L’80% circa dei votanti con una affluenza del 65% si espressero per la
fermata delle attività nucleari in corso, in costruzione o in programma. La
completa sospensione delle attività avvenne entro il 1990. La previsione del
completo smantellamento dei siti e del definitivo smaltimento delle scorie
venne previsto al 2025. Nel momento migliore il nucleare italiano ha prodotto
meno del 4% della produzione elettrica annua totale. Nessuno ha mai calcolato
quanto è costata al nostro paese l’avventura nucleare. Complessivamente si
tratta di una cifra enorme di cui non si deve parlare. Un costo che si trascina
ancora decenni dopo la chiusura degli impianti. Nessuno dei responsabili degli
enti energetici, come dei principali esponenti del mondo politico e del mondo
scientifico che hanno sostenuto la scelta nucleare è stato rimosso, sostituito
o penalizzato nella sua carriera e nei suoi ruoli o incarichi che anzi in molti
casi sono continuati o aumentati di importanza nei decenni successivi.
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