Tre mesi all’ora X - capitolo 7


 La metamorfosi di Angelica

Angelica è probabilmente la donna più simpatica, più sveglia, più intelligente che conosca ed è anche, come me, una convinta ecologista da anni. Da almeno quindici anni vive e lavora a Friburgo in Germania ma frequentemente viene in Italia, passa da Torino dove rivede i genitori e immancabilmente passa a trovare anche me. È anche una bella ragazza, formosa e quasi cicciottella, ma per strane e in parte incomprensibili ragioni siamo da vent’anni amici, forse qualcosa di più di normali amici, ma sempre contenuti nella nostra spontanea attrazione e reciproca simpatia. I nostri incontri sono un po’ singolari: lei mi aggiorna su quanto sta succedendo in Germania nelle nuove tecnologie energetiche, suoi nuovi modelli urbanistici delle abitazioni e sulle novità a riguardo di trasporti non inquinanti. Il suo lavoro da ingegnere consiste proprio nel seguire le nuove esperienze sviluppate in Germania e assumere le competenze tecniche e commerciali sufficienti a riproporle anche in altri paesi europei.  Svolge questa attività da anni per conto di un gruppo di piccole aziende riunite che di fatto sembrano essere l’avanguardia in questi settori sensibili agli impatti ambientali delle tecnologie energetiche e che proprio a Friburgo stanno concretamente attuando grandi innovazioni sull’intera città. Friburgo, una cittadina del sud della Germania di duecentomila abitanti, è sede di una grande Università con quasi ventimila iscritti, molto frequentata anche da studenti di altri paesi. La città dal 1982 è di fatto governata o condizionata dai Grünen, gli ecologisti tedeschi, che stanno conquistando posizioni rilevanti nelle amministrazioni dei Länder, le regioni della Germania, e che in molti comuni fanno proposte che stanno avendo un certo successo.   Il loro peso è di molto aumentato negli ultimi due anni perché dal 1998 governano la Germania con i socialdemocratici, con un ministro degli Esteri molto conosciuto, ma soprattutto con un ministro dell’Energia che sta tentando di far approvare un nuovo piano energetico che prevede di azzerare in venti anni il ricorso all'energia nucleare. 

Angelica mi racconta nei particolari, a volte per ore, tutte le novità del momento comodamente seduti in un vecchio bar a pochi passi da casa mia presso la Galleria San Federico. I proprietari del bar conoscono il nostro rituale che si ripete ormai periodicamente da anni e ci lasciano tranquilli nel nostro tavolino d’angolo.  Credo che gli altri avventori del locale immaginino chissà quali scambi di dolcezze amorose e non pensano certo che ci stiamo aggiornando a bassa voce, davanti a due tazze di tè e qualche biscotto, sulle ultime rappresaglie che i nuclearisti tedeschi tentano di attuare, anche se sembrano quasi vicini alla resa, preoccupati che l’influenza degli ecologisti possa aumentare e dilagare anche fuori dalla Germania nel resto d’Europa, dove gli ecologisti hanno uno scarso peso e dove i programmi nucleari, specie in Francia e Gran Bretagna, non si sono fermati per niente. 

Quando ho conosciuto Angelica, all’inizio del 1980, aveva quasi 22 anni e frequentava il terzo anno di ingegneria nucleare al Politecnico di Torino negli anni in cui il nucleare veniva lanciato alla grande per conquistare il mondo. Nove mesi prima in Pennsylvania il reattore nucleare di Three Mile Island, un grande reattore ad alta pressione, aveva avuto il primo grave incidente, fra quelli noti, della storia del nucleare nel pianeta e mezzo mondo aveva sudato freddo. Un desolante deficit negli strumenti di controllo, negligenza delle procedure e il guasto di una valvola di vapore nel circuito secondario di raffreddamento che non si era aperta o sembrava sempre chiusa, avevano portato nel giro di poche ore al limite dell’incidente più grave che possa avvenire in un impianto nucleare: il meltdown. Il termine indica la fusione del nocciolo contenente le barre di materiale radioattivo e la contemporanea possibilità di una grande esplosione a causa della liberazione di grandi quantità di idrogeno ad alte temperature e pressioni. Quello che aziende ed esperti nucleari avevano sempre indicato come impossibile, cioè con una possibilità di incidente con probabilità vicino a zero. Soltanto dopo un mese dall’avvio del disastro la possibilità di esplosione e completo meltdown venne esclusa e l’impianto entrò nella fase di “arresto freddo”.

Quando il mondo finì di tremare il dibattito sul reale pericolo del nucleare, fino ad allora sostenuto solo da sparuti gruppi di ambientalisti, cominciò ad assumere dimensioni tali da mettere in crisi i galoppanti programmi di sviluppo del nucleare nel mondo. Qualche crepa cominciò a mostrarsi anche fra gli esperti del settore e probabilmente anche fra gli studenti della facoltà interessata da questa tecnologia, fra i quali all’epoca c’era anche Angelica. Quando la conobbi al Politecnico era con altri addetti alla registrazione degli ingressi ad un convegno cittadino sul Piano Energetico Nazionale in preparazione della grande Conferenza Nazionale che si sarebbe svolta a breve a Venezia.  All’epoca Angelica era splendidamente giovane, allegra, socievole e candidamente convinta che non ci fosse niente di più conveniente, più pulito e più sicuro nel modo di produrre energia elettrica, di un moderno impianto nucleare, o almeno lo era stata di certo fino a qualche mese prima. Quando nella sala del Politecnico mi fermai al tavolo per registrarmi e mi spiegò come fare, rimase interdetta quando al momento di compilare il modulo di ingresso, alla voce che indicava l’ente di appartenenza dichiarai che non facevo parte di nessun ente ma che ero un chimico di trentadue anni, lavoravo come ricercatore in una fabbrica ma ero lì come appartenente ad un Comitato appena nato contro il nucleare. Mi guardò stupita e dopo un attimo di perplessità ed un grande sorriso imbarazzato mi disse di scriverlo insieme al mio nome che sarebbe stato sufficiente. Cominciammo a chiacchierare, all’inizio scherzando un po’ sulla mia presenza ad un convegno dove la maggioranza erano studenti del Poli o funzionari delle varie aziende energetiche pubbliche e private del Nord Italia. Seguii per un po’ gli interventi del convegno ma durante l’intervallo con un po’ di faccia tosta mi riavvicinai al suo tavolo e le chiesi come si poteva fare per partecipare alla Conferenza di Venezia.
Decisamente sorpresa mi riferì che l’ingresso era riservato a quadri e dirigenti di tutte le principali aziende del settore energetico, ma anche a studenti del Politecnico, su precisa indicazione di alcuni docenti notoriamente filonucleari e aggiunse che alcuni di questi studenti fra i quali anche lei, si sarebbero messi a disposizione per le registrazioni dei partecipanti. Quindi mi confessò, sincera e un po’ imbarazzata, che non c’era nessuna possibilità di accesso ad uno come me ad una Conferenza che aveva il chiaro obiettivo di rassicurare l’opinione pubblica sulla validità della scelta del nucleare. 

All’epoca era in ballo la costruzione della centrale nucleare di Caorso ma soprattutto c’era in discussione il primo Piano Energetico Nazionale. Votato nel 1975 da un Parlamento dove la gran parte degli eletti, di destra e di sinistra, erano  favorevoli al nucleare pur non sapendo la gran parte di loro neanche cosa fosse un isotopo radioattivo, il Piano nelle sue grandi linee indicava  delle previsioni di futuri fabbisogni energetici  con aumenti esponenziali  e proponeva come soluzione la programmazione e l’avvio della costruzione di 62 centrali nucleari nel nostro paese entro la fine del secolo, cioè nei venticinque anni successivi, fra il 1975 ed il 2000 : obiettivo improbabile ma di sicuro la garanzia di una montagna enorme di soldi inimmaginabile tutta a favore delle lobby del settore per decenni. 

Chiesi ad Angelica di rivederci il giorno dopo per parlarne meglio e sorprendentemente accettò. Così ci vedemmo per la prima volta nel nostro bar dove ci incontriamo ancora oggi dopo quasi 20 anni. Le spiegai a lungo il mio punto di vista contrario e preoccupato per le tecnologie nucleari e favorevole a cercare altre forme nuove di produzione energetica meno pericolose e meno costose. Spiegai il mio punto di vista secondo il quale la scelta del nucleare civile ci esponeva a rischi per decenni o meglio centinaia di anni. Inoltre l’idea che il consumo di energia fosse sicuramente in aumento continuo e inarrestabile all’infinito non era né scontata, né augurabile né sostenibile. Infine, la sicurezza delle centrali che i nuclearisti delle industrie del settore davano per certissima forse certissima non lo era affatto. Aggiunsi che si poteva cercare di sviluppare fonti alternative utilizzando anche l’energia solare che si può considerare infinita e rinnovabile.
Angelica mi ascoltava con attenzione. All’inizio ribatteva con i soliti argomenti che avevo imparato a memoria nei dibattiti e conferenze contro i nuclearisti dell’Enel: Convenienza economica ormai al di sopra del petrolio. Le scorie, quando si dovranno smaltirle, si potranno eliminare in sicurezza in appositi siti. Possibilità di incidente di uno per un milione di anni o stime simili basate su un azzardato e secondo me inventato calcolo statistico.  L’argomento che più la metteva in difficoltà era la possibilità, per non dire la sicurezza, che si potesse utilizzare i materiali radioattivi di alcuni reattori nelle tecnologie militari per costruire e far proliferare le armi atomiche.
Ricordo bene ancora adesso il suo progressivo cambiamento di attenzione quando ribattevo puntualmente alle sue posizioni che poi erano esattamente quelle che circolavano in una parte almeno dell’ambiente universitario e fra gli ingegneri dell’Enel. Nella discussione fra noi riportai la mia esperienza in alcuni dibattiti con i filonucleari, i cui argomenti, sempre gli stessi, sempre basati su valutazioni tecniche di cui non si capiva mai la base di riferimento e l’accusa sempre presente nei nostri confronti di essere contrari alla scienza e favorevoli solo allo sviluppo di fonti alternative rinnovabili che venivano considerate vaghe, ben lontane nel futuro ed economicamente assolutamente non convenienti.

Angelica mi ribadì che la partecipazione alla Conferenza Nazionale era riservata agli addetti ai lavori: funzionari delle aziende del settore, docenti, studenti universitari, aspiranti ingegneri ed esponenti politici selezionati, sui quali l’industria nucleare contava per mandare avanti i suoi impianti. Ovviamente tutti consapevoli che sulla Conferenza Nazionale incombeva ancora l’effetto possibile sull’opinione pubblica dell’incidente di Three Mile Island di quasi un anno prima, sul quale per la verità era calato un preoccupante silenzio.
Il nostro incontro al bar si prolungò per quasi tre ore, terminando quando il locale era ormai vuoto e il cameriere ci informò gentilmente che era l’ora della chiusura. Dichiarammo reciprocamente un armistizio provvisorio facendo l’ipotesi di un eventuale altro incontro dopo la Conferenza in programma nelle settimane successive. Ci salutammo cordialmente mentre pensavo che probabilmente questa bella e simpatica studentessa di ingegneria nucleare del Politecnico non l’avrei più rivista né sentita. 

Invece passò una settimana e una sera a tarda ora ricevetti una sorprendente telefonata che ricordo bene perché proprio non me la sarei mai aspettata. “Matteo sono Angelica, sì quella del nucleare, sì il futuro ingegnere che vorresti lasciare disoccupato. Vorrei continuare la discussione lasciata a metà e anche parlarti della Conferenza Nazionale.”  Una voce di sicuro un po’ imbarazzata ma decisa a rivederci. Mistero.

Così concordammo di vederci la sera dopo ma a casa mia per non avere un cameriere che potesse buttarci fuori dal locale anzitempo.  Angelica arrivò puntuale, elegante un po’ casual, un vago profumo che avevo già sentito, un librone sotto il braccio e un pacchetto in mano.  Aveva una decina di anni meno di me e a questo inizialmente attribuivo il suo lieve disagio nel venire a casa mia. Indubbiamente era una persona attraente ed ero curiosissimo di fare domande, dichiarandole la mia sorpresa sulla misteriosa ragione dell’incontro. La presi alla larga: cominciai chiedendole, mentre la salutavo abbracciandola, quale fosse il piacevole profumo che usava e mi confermò il sospetto: era essenza di patchouli.  Chiesi del librone e quando me lo mostrò lo riconobbi: un consistente dossier sull’incidente di Three Mile Island. Rimase sorpresa lei questa volta quando le dissi che ne avevo già una copia e lo avevo letto per intero ben due volte. Non era l’unica persona del Politecnico che conoscevo. Sul pacchetto che aveva in mano la sorpresa fu mia: gelato al gusto di marroni, nutella, pistacchio: praticamente una squisita e poderosa bomba calorica difficile da trovare in giro in pieno inverno.  Andai infine al dunque chiedendole esplicitamente come mai aveva voluto questo incontro. Questa volta la prese lei alla larga e propose di sederci da qualche parte. Era un po’ arrossita e cercai di non farmi troppo distrarre dall’osservazione che era proprio una ragazzina di ventidue anni ed era decisamente bella. La osservai con un’istintiva sensazione di tenerezza nei suoi confronti. So bene che, per quanto non sia credente, nel caso esistesse andrò comunque in paradiso per la mia rispettosa correttezza nei confronti delle donne, soprattutto quelle che già a prima vista mi affascinano e mi incuriosiscono. 

Mi disse che aveva riflettuto a lungo dopo il nostro incontro al bar, che probabilmente non l’avevo convinta ma che il venire a conoscenza da me della ipotesi di 62 centrali nucleari in Italia le aveva provocato una certa inquietudine. Aveva controllato ed era proprio vero, l’ipotesi che veniva fatta si trovava anche in documenti del tutto ufficiali che non le erano noti. Di certo ci sarebbe stato tanto lavoro per i prossimi laureandi in Ingegneria come lei. Fece una pausa, tiro un lungo respiro e mi guardò. Mi guardò profondamente negli occhi, a lungo, imbarazzata. Solo in quel momento percepii che era veramente turbata.  Poi mi fece la proposta: non c’era motivo secondo lei che ad una Conferenza come quella, che era rigidamente chiusa ai non addetti, altri che avevano un‘opinione diversa dai promotori non potessero nemmeno entrare. C’era però una possibilità, data dal fatto che lei aveva in carico l’elenco dei partecipanti proposti dal Politecnico ed uno di questi, un ingegnere di un piccolo gruppo di ricerca collegato all’Università, aveva all’ultimo momento comunicato che non avrebbe partecipato perché malato.  Si poteva aggiungere il mio cognome al suo nella lista perché non è raro trovare persone con il doppio cognome e aggiungere due lettere finali alla breve sigla della piccola società di appartenenza.  In questo modo, se avessi rinunciato alla prenotazione dell’albergo indicato nell’elenco ufficiale accanto ai dati anagrafici, sarei potuto entrare passando al suo tavolo di ricevimento dei partecipanti. Ottenendo così il pass e il cartellino di questo sconosciuto perché inesistente ingegnere.

Restai in silenzio per un po’ guardandola, decisamente sorpreso. Mi sembrava che fosse in corso un’inaspettata metamorfosi di Angelica, davvero sorprendente per una ragazza di ventidue anni. Per me in fin dei conti non c’erano grandi rischi, al massimo potevo essere buttato fuori come uno dei soliti antinucleari rompiballe. Ma per lei la faccenda era più rischiosa essendo inevitabilmente identificabile come la responsabile di quell’elenco di nomi e glielo dissi. Di fatto lei rischiava come minimo l’espulsione sicura dal suo corso. Ma non ne volle sapere aggiungendo che in questo caso avrebbe potuto cambiare in parte il suo programma di esami e che in realtà già ci stava pensando da un po’.  Ci pensai ancora un momento e poi accolsi la sua proposta. Parlammo a lungo dei particolari della cosa e poi parlammo a lungo anche di noi. Un buon tè nero, naturalmente fra i migliori rintracciabili e proveniente dall’ India, ci tenne svegli fino alle due di notte.  Solo alla fine, quando Angelica andò via, con l’espressione un po’ assonnata e un po’ di gelato su un labbro che non osai indicargli, mi resi conto che avevamo chiacchierato come due amici di lungo corso per ore. Anche se io avevo dieci anni in più e la conoscevo appena.

Andai alla Conferenza e tutto filo liscio. Avevamo deciso di evitare assolutamente di parlarci o farci vedere insieme nei due giorni della Conferenza, neppure all’esterno della sede dell’incontro perché centinaia di partecipanti erano ovviamente alloggiati e sparsi in varie zone della città. Al tavolo delle registrazioni mi misi in coda nella breve fila gestita da Angelica. Presi il pass e un cartellino con il mio strano nome che appesi al collo per metà nascosto sotto la giacca sportiva, avendo scartato anche in quella occasione la classica giacca e cravatta che non sopporto.
Ascoltai con attenzioni i vari interventi che sul piano tecnico non aggiungevano molto a quanto già sapevo sulle diverse opzioni tecnologiche riguardanti gli impianti nucleari che si stavano diffondendo velocemente nel mondo. Ma quando arrivarono gli interventi più importanti di esponenti politici e dirigenti degli enti energetici, compresi alcuni francesi e inglesi, ebbi chiaro l’obiettivo della Conferenza. Si ribadiva che il nucleare era la tecnologia del futuro: la più sicura, la più conveniente economicamente, l’unica alternativa futura al petrolio e la meno inquinante. L’incidente di Three Mile Island, dovuto ad un errore umano che non doveva esserci, rendeva addirittura in futuro il nucleare ancora più sicuro perché ci insegnava che bisognava perfezionare al meglio la strumentazione di controllo e allarme. Il messaggio era chiaro: si stava dando la linea a funzionari, tecnici, docenti, esponenti politici e dei media: il nucleare va avanti e un incidente non lo fermerà. Seguivo gli interventi ed ogni tanto con la coda dell’occhio osservavo Angelica che stranamente si era seduta nella stessa mia fila ma esattamente dal lato opposto della sala. All’inizio prendeva appunti, poi quando arrivarono gli interventi importanti smise di scrivere quasi per non perdere nemmeno una parola o una sfumatura di quanto dicevano. 

Parlarono del Piano Energetico Nazionale necessario per l’Italia. Parlarono della crisi del prezzo del petrolio sconvolto da guerre e tensioni in Medio Oriente. Parlarono della necessità di garantire il fabbisogno energetico che sarebbe stato sempre maggiore per garantire la inevitabile crescita economica dei prossimi decenni. Parlarono ancora una volta del contributo decisivo che il nucleare, la fonte più sicura e più pulita, avrebbe dato. Stranamente però nessuno, neanche di sfuggita, accennò all’ipotesi delle possibili, previste, future, auspicate, 62 centrali nucleari italiane. 

Al ritorno a Torino passarono parecchie settimane e poi Angelica mi chiamò.  Mi disse che per quanto possibile stava cercando di modificare il suo piano di studio. Un anno dopo si laureò e mi invitò alla sua festa di laurea alla quale non potei andare perché stavo partendo per una settimana di vacanza con Valentina e Speranza. Sei mesi dopo mi informò che partiva per la Germania dove forse aveva trovato lavoro a Friburgo per lo sviluppo di tecnologie energetiche basate sulla sperimentazione di impianti solari. Di nuovo sembrava una amicizia finita, non l’avrei più rivista. Ma invece non fu così. Mi chiamò dopo qualche mese, eravamo proprio all’inizio della primavera del 1982. Mi propose di incontrarci per raccontarci le ultime novità. Lei ormai abitava stabilmente a Friburgo. La metamorfosi incredibile di Angelica sembrava compiuta. Quindi ancora oggi viene spesso a casa della famiglia in Italia con sei ore di treno o attraverso il volo aereo da Basilea. E poi passa a trovarmi. Ci vediamo al bar della prima volta, dove incredibilmente ci incontriamo una o due volte all’anno da diciotto anni.
*
Il primo Piano Energetico Nazionale italiano fu adottato nel 1975 subito dopo la prima crisi petrolifera mondiale. L’obiettivo prevalente del piano era quello di avviare uno scenario energetico futuro basato sulla tecnologia nucleare sulla base di previsioni, dimostratesi subito palesemente gonfiate, di consumi elettrici totali in grande aumento. Si giustificava così la proposta di Enel di costruire in Italia 62 centrali nucleari entro l’anno 2000. Già nei primi anni ’60 l’Italia si era di fatto candidata, a seguito delle forti interferenze e pressioni di USA e Gran Bretagna, per sperimentare nuovi prototipi di tre tipi diversi di impianti (PVR, BWR e Magnox) tutti di tecnologia anglo-americana. La costruzione dei tre impianti avvenne presso le località di Latina, Sessa Aurunca di Caserta, Trino Vercellese e tutti e tre avviarono la produzione fra il 1963 e il 1964. 

Alle 4 di mattina del 28 marzo 1979 a Three Mile Island (Pennsylvania) nella unità 2 della centrale nucleare locale ebbe inizio l’incidente nucleare più grande e più grave della storia degli Stati Uniti. Per alcune settimane tutto il mondo rimase in sospeso a causa del rischio che si potesse arrivare, a seguito della difficoltà di mettere il reattore sotto controllo, alla fusione del nocciolo radioattivo ed all’esplosione della bolla di idrogeno formatasi nella cupola interna del reattore. Già prima nel 1977, poi alla Conferenza di Venezia del gennaio 1980 e successivamente nel 1985 l’ENEL elaborò alcune stime progressivamente  ribassate dei fabbisogni, mantenendo però inalterata la opzione nucleare.

Alle ore 1:30 del 26 aprile 1986, presso la centrale nucleare V.I. Lenin, situata a 18 km dalla città di Cernobyl in Ucraina (all'epoca parte dell'URSS) e a 16 km a sud del confine con la Bielorussia, avveniva un nuovo gravissimo incidente in un impianto nucleare che portava ad una esplosione nel reattore e alla fuoriuscita di materiale radioattivo che nel giro di pochi giorni arrivò ad essere segnalato in varie nazioni europee fra le quali l’Italia. Ufficialmente si stimarono parecchie decine di morti nell’immediato e alcune migliaia negli anni successivi. Altri enti non ufficiali, ad esempio Greenpeace, stimano le perdite di vite umane negli anni successivi da dieci a cento volte maggiori di quelle ufficiali. Una enorme porzione di territorio è stata preclusa a qualunque uso agricolo per un periodo indefinito. Negli anni successivi all’incidente sono stati centinaia i bambini bielorussi malati ospitati, specie nel periodo estivo, anche in Italia. 

L’8-9 novembre 1987 si svolgeva in Italia un referendum che su tre diverse schede richiedeva di fatto la chiusura di qualunque attività nucleare nel nostro paese. L’80% circa dei votanti con una affluenza del 65% si espressero per la fermata delle attività nucleari in corso, in costruzione o in programma. La completa sospensione delle attività avvenne entro il 1990. La previsione del completo smantellamento dei siti e del definitivo smaltimento delle scorie venne previsto al 2025. Nel momento migliore il nucleare italiano ha prodotto meno del 4% della produzione elettrica annua totale. Nessuno ha mai calcolato quanto è costata al nostro paese l’avventura nucleare. Complessivamente si tratta di una cifra enorme di cui non si deve parlare. Un costo che si trascina ancora decenni dopo la chiusura degli impianti. Nessuno dei responsabili degli enti energetici, come dei principali esponenti del mondo politico e del mondo scientifico che hanno sostenuto la scelta nucleare è stato rimosso, sostituito o penalizzato nella sua carriera e nei suoi ruoli o incarichi che anzi in molti casi sono continuati o aumentati di importanza nei decenni successivi.

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