Tre mesi all’ora X - capitolo 6


Hope

“Pronto Papa? Hope arriva con Mama. Domani siamo a casa. Prepara casa calda e bugie fresche!” 

Nella strana lingua che usa a volte Speranza, un miscuglio di hindi, inglese, italiano e non so che altro, inventato un po’ per ridere un po’ per confusione di quando era ancora piccola, Hope mi annuncia al telefono che lei e Valentina stanno partendo da Bombay per venire a casa. Devo avviare il riscaldamento in giornata e ripulire un po’ le stanze. L’appartamento di fronte al mio è l’alloggio italiano di Speranza, dove ha vissuto i primi anni insieme a mia zia Elena ed a Valentina prima che lei ripartisse per l’India quando Hope ha compiuto due anni. E devo assolutamente procurarmi questi dolci croccanti e ricoperti di uno strato di zucchero che fanno impazzire Hope e non sono facili da trovare in questo periodo.

L’arrivo di Speranza e di sua madre Valentina è sempre un avvenimento, forse è per me l’avvenimento dell’anno. In genere arrivano dall’India alla fine di ottobre, o all’inizio di novembre, in corrispondenza del giorno convenzionalmente considerato quello di compleanno di Hope, cioè il 31 ottobre e si fermano per qualche settimana. Negli anni passati venivano più frequentemente fra aprile e maggio. Le scuole indiane infatti hanno un calendario simile a quello italiano basato su 13 anni di studi pre-universitari ma il calendario annuale è di almeno due mesi anticipato rispetto al nostro. La scuola finisce fra aprile e maggio in tutti gli Stati indiani, subito prima dei monsoni, la stagione delle piogge che può durare anche fino a settembre. Però al contrario del Maharashtra, la regione di Bombay, che ha estati molto calde e umide, spesso con temperature sopra i 40 gradi e accompagnata da piogge violente, nell’area costiera più a sud vicino a Goa e a Poona, dove risiedono Valentina e Hope, le temperature sono più miti e costanti, si mantengono spesso fra i 20 e i 30 gradi durante tutto l’anno. Anche da loro l’estate è molto piovosa ma il clima è più gradevole. In fin dei conti è l’inverno la stagione più indicata per andare in India, con temperature che difficilmente si avvicinano allo zero. E infatti nei primi anni di età di Hope sono andato a trovarle proprio nel periodo delle feste di fine anno. Hope ha frequentato le English School, dove Valentina insegnava inglese nelle primarie inferiori, cioè le nostre elementari. Mentre le scuole pubbliche sono ancora oggi in gran parte in strutture cadenti, con banchi malridotti e materiale didattico insufficiente o inesistente, praticamente le English School sono la scelta obbligata per avere una istruzione adeguata. Sono rivolte alle caste superiori in cui è rigidamente divisa la società indiana. Ci sono quindi solo due possibilità, che quasi sempre non hanno nulla a che vedere con le qualità personali o le aspirazioni dei singoli. Se si dispone di risorse economiche consistenti si può accede ad una English School, basata sul bilinguismo hindi-inglese fin dall’asilo e dove spesso è garantito un ottimo livello di istruzione, oppure bisogna necessariamente iscriversi ad una scuola pubblica dove spesso le famiglie delle regioni più povere mandano i propri figli prima di tutto per potergli garantire almeno un piatto di riso e piselli al giorno. 

Già da alcuni anni Hope ha terminato l’Università, dove ha studiato lingue, ed ha avviato molteplici e impegnative attività, e quindi può muoversi liberamente da sola o insieme a Valentina. A 30 anni ormai passati continuo a vederla come una ragazzina ma in realtà ha acquistato una grande maturità che spesso mi sorprende. Magra, con i capelli neri e la pelle scura, sempre sorridente e mai agitata Speranza si muove con destrezza in qualunque ambiente. Oltre all’italiano, l’hindi e l’inglese, se la cava bene anche con il tedesco e l’arabo appresi all’Università. Ma ha imparato anche molti lavori manuali nella cooperativa fondata da Valentina insieme ad un gruppo di donne indiane. Vivendo per anni in mezzo alle donne della cooperativa fin da piccola ha imparato a cucire a mano o con le diffusissime macchine da cucire Singer, a ritagliare abiti e produrre ricami semplici di cotone, a disegnare il batik usando la cera, a cucire scarpe e foggiare mocassini e sandali molto originali. Ha mostrato anche una insolita vocazione aiutando i ragazzini del villaggio a fare piccole riparazioni meccaniche su biciclette e motorini ma anche piccole manutenzioni su vecchie auto scassate e perfino sui trattori e i pick-up Mahindra molto diffusi fra i contadini benestanti. Queste insolite attitudini per una ragazza in un paese ed in un villaggio dove all’interno stesso delle diverse caste le donne hanno un ruolo molto circoscritto a poche attività famigliari e sono perlopiù destinate a matrimoni prestabiliti in età precoce, hanno creato nei primi anni perplessità tra gli abitanti. L’impegno e la simpatia di Hope ed in più il notevole successo della cooperativa hanno però dissolto progressivamente le precedenti ostilità. 

Nei primi anni di vita, passati per molti mesi all’anno qui in Italia, Speranza ha imparato facilmente la lingua e i costumi locali che sono molto diversi da quelli indiani soprattutto riguardo alle donne e alle differenze sociali. Ha rivelato una sorprendente attrazione per lo sport, prima da piccolissima per le arti marziali e poi soprattutto per il nuoto. Ha cominciato a frequentare palestre e piscine in tutti i momenti liberi. Di fatto oltre a studiare sono diventate le sue attività prevalenti nei periodi in cui tornava dall’India dove anche nelle zone poste sulle rive dell’Oceano indiano il nuoto come le altre attività sportive erano praticamente ignorate da bambine e donne. L’attività sportiva è stata probabilmente la prima occasione di confronto e convivenza con altri ragazzi della sua età, superando facilmente qualche iniziale difficoltà dovuta alla sua diversa origine etnica ed al suo singolare sistema di vita continuamente altalenante fra due paesi lontani fra loro quasi settemila chilometri. 

In India invece Hope è diventata una figura conosciuta dall’intero villaggio e negli ultimi anni ha iniziato viaggi in giro per il mondo, soprattutto in Europa, per aprire e consolidare canali di vendita per i prodotti della cooperativa: stoffe, abiti, borse, monili vari e recentemente anche quadri e pitture su batik di cotone e di seta. Ogni volta che torna mi porta qualcosa fatto con le sue mani o oggetti strani trovati in giro per il mondo. La mia casa ha ormai cambiato aspetto. Oltre a quadri e batik alle pareti ci sono cuscini, stoffe e coperte dei più diversi tessuti e colori, piccoli mobili intagliati, lampade e candele profumate. Per finire un lieve profumo permanente di olio di patchouli. Pochi sanno che in Oriente i commercianti di seta avevano l’usanza di avvolgere scialli e preziosi tessuti in pacchi contenenti le foglie di patchouli allo scopo di respingere gli insetti e proteggerli dalle tarme. Un’essenza che divenne poi diffusissima fra i giovani in Occidente alle fine degli anni’60. Già Valentina qualche volta ne faceva uso e Hope l’ha promossa ad antitarme perfetto della casa che si è trasformata quasi in una piccola reggia profumata da maharaja indiano. 

L’altro lato dell’appartamento, a cui si accede dal pianerottolo e che è di fatto l’abitazione di Hope e Valentina, è particolarmente caotico. Libri, abiti, quadri e arredi provenienti dalle più diverse parti del mondo inondano la casa che in assenza delle due ospiti non va assolutamente riordinata tranne che per periodiche pulizie. L’ordinata confusione in cui si trova l’alloggio ottiene il consenso e una perfetta consonanza di comportamento delle due inquiline. Vige quindi il principio che per dare una qualche continuità alle loro periodiche visite tutto deve essere trovato come era stato lasciato l’ultima volta. Un’abitudine che incredibilmente è diventata anche per me un modo per sentirle più vicine.

Da quando Valentina raccolse il piccolo fagotto in un vicolo di Bombay a fine ottobre del 1968, scoprendo che si trattava di una piccola neonata abbandonata, Hope ha cambiato e per certi aspetti condizionato totalmente la sua ma anche la mia vita. Portata clandestinamente fuori dall’ India quando aveva circa tre mesi di vita la bimba, che in realtà qui chiamiamo Speranza mentre in India è chiamata Hope, risulta essere figlia di Valentina e di aver perso precocemente il padre indiano. Il primo anno di vita di Speranza è stato un po’ movimentato. Arrivata in Italia all’inizio del 1969, ospitata a casa mia insieme alla sua madre di acquisto, cioè Valentina, con il sostegno entusiasta  di mia zia Elena che abitava sul mio stesso pianerottolo dell’ appartamento sotto i portici di Piazza Castello,  Hope ha mostrato fin da subito una grande resistenza fisica, una grande capacità di adattamento ed una formidabile propensione a farsi amare e coccolare da questa madre, questo padre e questa nonna acquisiti ed ereditati da un singolare appuntamento del destino in una stradina buia di Bombay, la grande porta dell’India  che adesso si chiama Mumbai.  Era gennaio del 1969 quando per la prima volta Valentina mi fece conoscere Hope, che aveva approssimativamente tre mesi, dopo un viaggio complicato e l’appuntamento stabilito con loro al confine turco. Infagottata in una calda coperta colorata appesa al collo di Valentina, accompagnata dall’indiano del gruppo di Poona attraverso il confine con la Turchia, viaggiando in treno dall’India, Hope è riuscita a passare come loro figlia. E da lì in aereo siamo arrivati tutti direttamente a Torino dove emozionata, allibita e contenta mia zia Elena è stata promossa sul campo nonna di Speranza che da allora è diventata praticamente la ragione della sua esistenza. Così è stata riorganizzata la sua abitazione, confinante attraverso il pianerottolo con la mia, in modo da accogliere Speranza tutte le volte che tornava dall’India. 

Anche oggi il viaggio è sempre lo stesso, quasi nove ore di volo diretto da Bombay a Milano e poi il treno. Come sempre le aspetto alla stazione con un po’ di agitazione per l’incontro. Come quando aveva dieci anni anche ora che ne ha trenta Hope è la prima a scendere dal treno e corrermi incontro alla testa del binario. Valentina la segue calma e sorridente, soffocata da borse e borsoni colorati. Come al solito riempiranno la casa di regali, vestiti, profumi e oggetti strampalati e sarà un problema capire dove metterli quando loro se ne voleranno via sulla strada del ritorno.     
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Il 14 agosto del 1947 l’India otteneva l’indipendenza dalla colonizzazione inglese con la nascita della Unione Indiana. Contemporaneamente un’altra parte del subcontinente indiano di prevalente popolazione islamica si costituiva come Repubblica islamica del Pakistan. Nell’anno successivo il Mahatma Gandhi, il principale protagonista della lotta per l’indipendenza dell’India, veniva ucciso da un induista fanatico e le due nuove nazioni entravano in guerra fra loro per il controllo del Kashmir, una regione della parte settentrionale del continente indiano. Due anni dopo, con l’intervento delle Nazioni Unite, il Kashmir venne diviso fra i due contendenti sulla base della prevalenza religiosa della popolazione.   

Malgrado la Costituzione della nuova Federazione di Stati che fondarono la nuova India abolisse la suddivisione della popolazione in quattro Caste principali e riconoscesse la multi-religiosità, costituita da una maggioranza indù e da consistenti minoranze islamiche, cristiane, sikh, nei decenni successivi le divisioni e tensioni sociali su basi etniche e religiose non sono mai state risolte. La divisione in Caste, soprattutto fuori dalle grandi metropoli, è rimasta in gran parte invariata. Il mondo dell’istruzione, dalle scuole inferiori fino alle superiori e universitarie ne è un esempio. La scuola pubblica, soprattutto nelle aree rurali è scadente nel grado di istruzione, e cadente nelle strutture. Molte famiglie garantiscono la frequenza dei figli prevalentemente perché in questo modo viene loro garantita la sopravvivenza alimentare. Invece le English school riservate alle caste superiori sono costose ma di ottima qualità e basate ufficialmente, fin dall’asilo, sul bilinguismo hindi-inglese. 

Per decenni due partiti si sono contesi e alternati al governo dell’India diventata una federazione di 29 Stati e 7 Territori fra i quali la Capitale Delhi con parlamenti e governi locali che mantengono una larga autonomia. Il Partito del Congresso di impronta social-liberale ed il Partito del Popolo di orientamento di destra nazionalista sono i due partiti più importanti che si alternano al governo insieme ad un numeroso gruppo di partiti più piccoli o di carattere regionale. Lo Janata Party, il Partito del Popolo nazionalista ha governato l’India ininterrottamente dal 1996 al 2004.

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