romanzo in 12 capitoli e 36 parti nei 12 mesi del 1968
note di prefazione
Un racconto esile più che un romanzo, ancora troppo vicini gli avvenimenti
per definirlo un romanzo storico compiuto. Ma i fatti che coinvolgono i
protagonisti sono rigidamente rispettosi della realtà storica, delle date
esatte, a volte perfino dell’ora e, in qualche caso, delle condizioni
meteorologiche di quel giorno. Non è una autobiografia individuale anche se non
si può negare che parte di quanto descritto ha a che fare con me e con persone
da me conosciute. Non è un diario sentimentale o una ricostruzione degli amori
giovanili del protagonista, ai quali per un attimo può far pensare il titolo.
Insomma, siamo lontani da una versione nostrana di un kamasutra in salsa
sessantottina, di cui altri, comunque più bravi di me, hanno già abusato abbondantemente
sulla carta, in tv e al cinema.
Confesso che la voglia di scrivere, in apparente dissociazione con i tempi
delle ricostruzioni ufficiali, l’ho avuta nel 2008, anno del quarantennio, nel
quale forse per l’ultima volta, speriamo, mezzi di informazione, ex
sessantottini più o meno pentiti, qualche storico e qualche protagonista un po’
più serio hanno cercato di riproporre, specie a chi nel 1968 non era forse
neanche nato, che cosa accadde quell’anno contemporaneamente in decine e decine
di paesi del mondo, pur in assenza di mezzi di comunicazione
globalizzanti come quelli degli ultimi 20 anni. La decisione definitiva di
scrivere qualcosa, nell’anno delle rimembranze un po’ eccessivamente ridicole e
demolitrici, l’ho presa quando in una delle tante commemorazioni ufficiali
venne introdotta una incredibile sfilata di moda, nella quale, a cominciare dai
pantaloni” a zampa di elefante", si cercò di descrivere "come ci
si vestiva” nel ’68.
Dunque si può concludere che 68 volte ti amo è un resoconto
di avvenimenti, di storie personali, di sentimenti e amori vissuti, di gioie e
di tragedie avvenute realmente o con poche trasgressioni alla realtà dei fatti,
in una città del nord Italia, nel nostro paese, in varie parti del mondo,
nel periodo che va esattamente dal 1° gennaio al 31 dicembre del 1968. Un anno
suddiviso mese per mese in 12 capitoli, ognuno dei quali è a sua volta
suddiviso in tre parti. La veridicità degli avvenimenti storici è stata in
poche occasioni ritoccata. Ad esempio una canzone di successo ascoltata su un
33 giri citata nel primo capitolo in realtà fu disponibile su vinile in Italia
solo alcune settimane dopo il mese di gennaio. La trasgressione maggiore
riguarda però la descrizione degli avvenimenti nelle fabbriche come la nascita
dal basso di strutture di delegati di reparto e consigli di fabbrica che in
realtà si svilupparono gradualmente, un po’ più lentamente e un po’ più avanti
rispetto ai fatti descritti.
Pur avendo vissuto dall’interno e intensamente quell’epoca, la
lettura e la ricerca storica per la stesura del libro mi hanno fatto rivedere
alcuni episodi con una consapevolezza diversa, in genere maggiormente
tragica. Ad esempio la inspiegabile carneficina di studenti compiuta in
ottobre a ridosso delle olimpiadi dal governo messicano senza che questo
mutasse minimamente i programmi olimpici, con il particolare che, fra i circa
500 studenti circondati e uccisi nella piazza della capitale messicana, i
leader vennero identificati e quindi subito seppelliti o bruciati, senza
possibilità di riconoscerne e recuperarne i corpi. Anche i fatti di Valle
Giulia in marzo, come descritti nell’autentico resoconto di una giornalista dell’Unità ripreso
nel racconto e quelli della repressione dei braccianti siciliani ad Avola,
indicano che il nostro più recente G8 della Diaz e di Bolzaneto ha avuto
illustri e scellerati precettori in un ministro dell’interno già più di 30 anni
prima.
Sono particolarmente affezionato all’episodio che si svolge in Afghanistan
davanti ai due Buddha di Bamiyan, oggi noti ai più perché più di trenta anni
dopo, nel 2001, vennero distrutti a cannonate dalla follia dei Talebani.
Quando nel 2008 scrissi la prima stesura di questa storia scoprii curiosamente
negli scritti di un archeologo che in vecchi resoconti di un viaggiatore cinese dell’epoca della
costruzione delle statue, si parlava anche di un terzo Buddha, nascosto dai
monaci buddisti più di 1500 anni fa, per preservarne almeno uno dalla
distruzione possibile degli islamici. Nel riprendere nel 2013 lo scritto per
una eventuale pubblicazione del romanzo, fino ad oggi pubblicato in bozza solo
sul web, per caso ho scoperto che proprio nel 2008 il terzo Buddha, sdraiato,
venne effettivamente ritrovato sotto terra, proprio nella pianura prospicente i
due Buddha dove in settembre si incontrano Matteo e Valentina, le due figure
più presenti nel romanzo.
Mentre Matteo appare superficialmente il protagonista principale della
storia, faticosamente scritta attraverso il suo raccontare al tempo presente,
sono le altre figure, quelle di quattro donne molto diverse fra loro, che
suggeriscono una ricostruzione ed una riflessione spero riuscita ed efficace su
quanto si esprimeva nel mondo giovanile dell’epoca. In tanti era comune,
insieme alla scelta di impegnarsi direttamente in prima persona e senza alcun
tornaconto prevedibile dal proprio personale impegno, la partecipazione ad una
rivolta collettiva che assumeva nei diversi paesi sfumature diverse. Però
sempre contro una società autoritaria, ostile a qualunque vero processo di
rinnovamento, poco attenta sia alle libertà comuni che a quelle individuali
delle persone. In fabbrica, come nelle scuole, nei paesi capitalistici come in
quelli cosiddetti socialisti.
Valentina, intrinsecamente pacifica e non violenta prova a mettere in discussione i
fondamenti autoritari della società in cui vive attraverso una personale
esperienza di autocoscienza intimamente vissuta e, con una naturale
sessualità disinibita, resta un po’ staccata dall’impegno politico
diretto. Marta la guerriera già come giovanissima liceale si proietta senza
riserve, con evidenti connotazioni massimaliste, nel confronto e nella
solidarietà con donne immigrate e quasi sprofondate in una condizione di
sottoproletariato nella città delle grandi fabbriche che non ha posto per loro.
Giulia, giovane e affascinante immigrata meridionale ha invece rapidamente
acquisito ruolo e sicurezza nell’ambiente di fabbrica dove mostra di muoversi
con sensibilità in un percorso di spontanea sindacalizzazione di base e
partecipazione alle lotte per i diritti nel luogo di lavoro. Infine suor Angela
ricorda come anche negli ambienti religiosi i sentimenti di giustizia sociale
hanno silenziosamente fatto breccia.
Tutte esprimono magari con inevitabile ingenuità che va perdonata, una
volontà di rimettere in discussione i caratteri autoritari della società
dell’epoca. È un fatto che solo negli anni successivi al ’68 alcuni
significativi processi di riforma sociale vennero avviati in diversi paesi, in
particolare nel nostro.
In fin dei conti si tratta ancora oggi di una scommessa che nessuno è
riuscito davvero a vincere. (mm)