Film (1982)
di Giuseppe Grossi su movieplayer.it - 30 aprile 2015
L'opera cult di Ridley Scott torna
al cinema in attesa del già annunciato sequel. Un'imperdibile occasione per
gustare la versione Final Cut e reimmergersi in uno dei film fantascientifici
più ispirati e cupi di sempre.
Ci sono vecchi film che non riescono
proprio a diventare film vecchi. Succede a tutte quelle pellicole attraversate
da una testarda attualità, impermeabili al passare del tempo perché
portatrici di messaggi universali. Accade quando la fantascienza, per
una volta, non vola verso altri pianeti anche quando parla di colonie
extra-mondo, non si impegna a scoprire nuove razze, ma si pianta con i piedi
per terra ad esplorare con dedizione le angosce dell'animo umano, anzi di
qualcosa di "più umano dell'umano". La carica filosofica di Blade Runner rende il film di Ridley Scott un manifesto di umanità che si interroga (e invita lo spettatore a
riflettere) sul senso della morte, sul valore dell'esistenza e il peso
della libertà nel mondo moderno.
Immerso in un incubo distopico, dove
pochi insospettabili sognano ancora qualcosa di bello, il capolavoro tratto dal
romanzo di Philip K. Dick (tra gli autori più saccheggiati da Hollywood) dà vita ad un cinema
nostalgico, sovraccarico di visioni metaforiche e lungimiranti. In una Los
Angeles sovrappopolata e fetida, quasi abbandonata ad un destino fatto di
degrado e alienazione sociale, seguiamo i passi ondivaghi di Rick Deckard,
agente della Blade Runner incaricato di "ritirare" dei replicanti
ribelli.
In questa caccia estenuante diventa
difficile distinguere vittime e carnefici, prede e predatori, perché il
confronto morale tra personaggi è pieno di contraddizioni che impediscono allo
spettatore di creare etichette e orientarsi con certezza. Destabilizzante
e poetico, Blade Runner è forse il film che più di tutti è riuscito a
parlare del rapporto simbiotico tra uomo e tecnologia e lo ha fatto proprio
attraverso il cinema, la forma di racconto che meno di tutte può prescindere
dalla tecnica. Il grande schermo ospita corpi e software emotivi, parla di un
domani che sa essere sempre oggi e intrattiene il pensiero dello spettatore
insinuando dubbi che restano tuttora irrisolti. In occasione del ritorno del
film nelle sale italiane (i prossimi 6 e 7 maggio) andiamo a scoprire le
caratteristiche di un'opera grandiosa, che si nutre di immaginazione pur
alimentandola, perché se ai suoi replicanti restano solo quattro anni di vita, Blade
Runner non conosce i limiti del tempo.
1. Una fantascienza
"degenere"
A tre anni da Alien, Ridley Scott tornò a
ridefinire il genere fantascientifico. Se l'avventura spaziale di Ellen Ripley
non era che uno spietato horror basato sulla fame del cacciatore e la paura
della preda, in Blade Runner la fantascienza si arricchiva di nuovi
generi, dando vita ad un film ibrido come le creature sintetiche di cui
parlava. La versione cinematografica ufficiale, ovvero quella rilasciata nei
cinema nel 1982, rispondeva ai canoni di un noir futuristico. La voce
fuori campo, il cammino solitario di un poliziotto scontroso all'interno di una
città ostile e la figura della femme fatale ricalcano le caratteristiche
tipiche di un poliziesco dark. Contaminato anche da sequenze dinamiche da
cinema action, il film assumeva tonalità drammatiche nei dialoghi intrisi di
desideri e paure. In questa Los Angeles del 2019 la fantascienza è dunque un
grande contenitore dove far convivere tanti altri linguaggi del cinema.
2. Io, replicante
Dalla donna robotica di Metropolis al possente Terminator, il cinema ha nel cyborg uno dei
suoi feticci preferiti, una figura ambigua, incarnazione prediletta di dubbi e
inquietudini poi impresse su pellicola. Apprensioni scaturite dal bisogno di
interrogarsi sul senso del progresso e sugli effetti che questo ha sulle
persone che lo vivono in prima persona. L'automa è uno specchio robotico di
fronte al quale riflettere o fuggire. Ma se molti film hanno ripreso il modello-Frankenstein
e descritto un automa ribelle che si rifiuta di essere controllato dal suo
creatore, Scott opta per un incontro tra individui e robot. In Blade Runner
il confronto con l'intelligenza artificiale evita qualsiasi forma di distacco,
preferendo invece una simbiosi in cui è facile trovare punti di contatto tra Deckard
e le sue prede. I replicanti hanno consapevolezza di sé e dei propri limiti,
soffrono la prospettiva di una fine prestabilita e lottano per sopravvivere.
Ognuno di loro possiede una personalità ben definita e la esprime attraverso un
preciso modo di comportarsi, vestire, pensare, risultando commoventi nel loro aggrapparsi
alla vita attraverso fotografie che fungono da ricordi e cuscino emotivo.
In questo gioco di similitudini è molto facile cadere in un dilemma. E se lo
stesso Deckard fosse un replicante? Il romanzo di Dick lo nega, Harrison Ford lo ha sempre rifiutato, ma Ridley Scott ha più volte supportato questa
affascinante tesi. Una svolta che arricchirebbe di significato tutto il film,
con un uomo che forse non ha fatto altro che dare la caccia a se stesso.
3. L'ambientazione: il degrado del
progresso
Scorgere dei segni di evoluzione
nella Los Angeles plumbea disegnata da Scott è un'impresa
proibitiva. Relegata ad un buio perenne, la megalopoli di Blade Runner
assume le forme di un mostro urbano che fagocita una società massificata e
incolore. Questa ambientazione ispirata funge da elemento narrativo cardine del
film, habitat quanto mai significativo del confuso squallore in cui si svolgono
gli eventi narrati. La città pullula di grattacieli e baracche, confusa tra il
gotico e il barocco, dispersa in un labirinto di palazzi e nebbia di cui
Scott riesce quasi a far sentire l'odore. Ed è per questo che il suo
protagonista si muove in solitudine e, anche quando si ritrova in luoghi
pubblici (club, mercati, strade), appare totalmente slegato dal contesto in cui
si aggira. Essere soli è possibile anche in una metropoli.
4. 2019: Odissea nello schermo
Il mondo di Blade Runner è
dominato dal culto del visivo. Non a caso tempestato di occhi (la
pupilla iniziale, il test, il gufo, il progettista, la morte del Dott. Tyrell),
il film propone in maniera insistente il tema del guardare. La città è invasa
da maxischermi pubblicitari onnipresenti, le fotografie sono un elemento
basilare per i ricordi dei personaggi e Deckard utilizza dispositivi
tecnologici interattivi che giocano con l'immagine. E se questa "dittatura
video" si sposa con la descrizione di una società oppressa dal consumismo
("Io non sono nel business, io sono il business" afferma
l'androide Rachel), è facile pensare che questa sia una grande opera
consapevole dell'inevitabile sistema in cui si inserisce. Ovvero quello dello
show business (il film è pieno di evidenti product placement) e di un
cinema metatestuale che ragiona su stesso, dove si osserva e si fa osservare.
5. Un design simbolico
Le ispirazioni visive di Scott
provengono delle fonti più disparate. L'arte pittorica di Hopper
incontra il fumetto di Jean Giraud e le visioni cinematografiche di Fritz Lang. Da questi
presupposti nasce un design fortemente simbolico dove ogni singolo elemento
visivo si carica di altri significati. Agevolato da un casting riuscito, dalla
presenza scenica imperiosa di Rutger Hauer al volto senza tempo di Sean Young, il regista
ha creato una fabbrica di segni stracolma di metafore. Pensiamo alle due cyborg
donna eliminate da Deckard. Zohra, una spogliarellista accompagnata da
un serpente tentatore e diabolico, viene uccisa tra le vetrine di un negozio,
immersa tra l'indifferenza dei passanti e manichini inermi, non tanto diversi
dalla sua figura di donna-oggetto. Sorte in parte simile a quella di Pris
che, truccata come un orsetto lavatore, cerca di trovare un po' di innocenza
tra i giocattoli, trovandovi solo la morte. Difficile poi dimenticare
l'inquietante figura del Dott. Tyrell, uomo cinico, rinchiuso in una
fabbrica a forma di piramide (richiamo alla schiavitù) che dovrebbe essere un
lungimirante promotore di progresso, invece indossa occhiali spessi e morirà
proprio trafitto negli occhi, cieco come la sua industria di replicanti; oppure
il giovane giocattolaio dalla pelle raggrinzita che si rifugia nel suo ovattato
mondo di pupazzi. E mentre assistiamo ad una vera e propria partita a scacchi
dove Deckard, forse, è una pedina nelle mani del losco detective Gaff,
la sublime morte di Roy Batty assume tonalità liriche intrise di riferimenti
religiosi (il chiodo nella mano, la pioggia incessante, la colomba bianca).
6. La colonna sonora
In una perfetta armonia tra suoni e
immagini, Blade Runner è impreziosito da una colonna sonora
evocativa, capace di valorizzare e sottolineare l'emotività di ogni singolo
fotogramma del film. Vangelis alterna morbide sonorità new age
alla potenza oppressiva e insistente della musica elettronica. Il compositore
greco tesse il tappeto musicale ideale per immergere lo spettatore dentro un
futuro disturbante.
7. Il dubbio sulla natura di Deckard
Come è noto, non esiste un solo Blade
Runner. Coerente con il suo tema di fondo, anche il film di Scott ha
conosciuto più repliche e versioni, ognuna delle quali possiede una sua precisa
visione del racconto e giustificazione di fondo. In realtà la trasposizione
ufficiale, ovvero quella che uscì nei cinema di tutto il mondo nel 1982, non è
quella davvero immaginata dal regista. Infatti il finale di questa versione,
dove assistiamo alla fuga dei due amanti e a delle panoramiche aeree riciclate
da immagini scartate da Shining, tende a fornire una visione più rassicurante
con una morale che, anche se non propriamente positiva, risulta perlomeno piena
di speranza. Nel 1992 Scott ci tiene a rendere pubblica quella che dev'essere
universalmente riconosciuta come la sua versione ufficiale del film (la Director's
Cut), dieci anni prima rimaneggiata per volere della produzione (spaventata
da alcune proiezioni poco riuscite prima del rilascio). Qui viene inserita una sequenza
onirica fondamentale per ribaltare il punto di vista sulla storia, ovvero
un sogno ad occhi aperti di Deckard nel quale il poliziotto vede correre un unicorno
bianco. Un dettaglio che, unito al ritrovamento di un origami proprio a
forma di unicorno, fa supporre che anche lo stesso poliziotto sia un replicante
con ricordi "preconfezionati", utilizzato da Gaff come arma
letale per eliminare tutti i cyborg ribelli. La Director's Cut termina in modo
brusco e spiazzante, con le porte di un ascensore che si chiudono, accompagnate
dall'amara presa di coscienza del protagonista. Un dubbio ancora vivo che
continua a dividere i fan.
8. Il peso di un origami
Ci sono film che non vivono solo di
interpreti, storie, dialoghi e grandi immagini, perché si soffermano con
particolare attenzione su alcuni dettagli di scena che diventano a loro modo
emblematici, inaspettati punti di svolta per intere trame. Parliamo di oggetti
comuni che alcuni registi hanno trasformato in veri e propri totem
allegorici. La valigetta di Pulp Fiction, la chiave di Mulholland Drive, la trottola di Inception sono tra gli esempi più noti. Prima
di tutto questo, Ridley Scott semina per il suo film un paio di scene
apparentemente banali in cui un personaggio secondario (Gaff) si diverte
nell'irridere Deckard attraverso piccoli origami. Oggetti minuscoli che alla
fine del film risulteranno invece basilari, portando lo spettatore a
rivalutarne il peso specifico all'interno della storia.
9. Il monologo finale
Dita spezzate, testate, sangue e
ululati inquietanti. Batty e Deckard si apprestano al duello
decisivo in quello che sembra il naturale preludio ad un violento scontro finale.
Ma una volta davvero vicini, faccia a faccia, la ferocia abbandona la scena per
trasformarsi in un confronto pieno di pietà. Il celebre monologo
dell'androide, diventato una delle scene più cult della storia del cinema,
racchiude dentro parole visionarie (in parte improvvisate da Rutger Hauer) tutta la disperazione di un essere pensante che sta per morire.
Consapevole della sua fine, l'umanissimo cyborg sa che "è tempo di
morire" e guarda con malinconia alla sua breve esistenza,
insignificante in quel mondo vorace, che si disperderà "come lacrime
nella pioggia". Sono le parole di un angelo meccanico capace di
perdonare, un messia portatore di visioni ultraterrene che Deckard osserva inerme,
con lo stesso sguardo estasiato dello spettatore.
10. Una difficile eredità
Un capolavoro della cinematografia
comporta la nascita di un punto di riferimento per il pubblico così come di uno
scoglio difficile da superare per il suo stesso autore. Dopo Blade Runner,
Ridley Scott ha conosciuto ancora un grande successo di pubblico senza più
riuscire a toccare le vette qualitative di quella sua Los Angeles post-moderna
e densa di ispirazione artistica. Il merito di questo film è senza dubbio
quello di aver sdoganato il tema dell'intelligenza artificiale con il quale
tanti cineasti dopo di lui hanno provato a confrontarsi. Se grandi autori come James Cameron e Steven Spielberg sono riusciti a fornire una loro personale visione grazie ai riusciti Terminator, Terminator 2 - il giorno del giudizio e A.I. intelligenza artificiale, tanti altri film sono rimasti solo sulla superficie
dell'intrattenimento (i restanti capitoli della saga di Terminator, Io, Robot, Il mondo dei replicanti, il recente Humandroid). Tra le declinazioni recenti più
riuscite c'è sicuramente l'intimo Lei di Spike
Jonze, mentre sentiamo di consigliarvi il prossimo Ex Machina (in arrivo il prossimo 30 luglio).
Senza dimenticare che nel 2016 avranno inizio le riprese del sequel di Blade
Runner, diretto da Denis Villeneuve, dove forse vedremo un combattimento tra navi a largo dei bastioni di
Orione e i raggi B balenare. Perché se c'è qualcosa che noi umani non possiamo
nemmeno immaginare, il cinema resta una delle nostre poche speranze per
riuscirci.
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